Diritti

Coronavirus, discriminazioni e omissioni nelle direttive che hanno inguaiato le Rsa lombarde. Il caso della Sant’Erasmo di Legnano

Come tutti, fin dall'inizio dell'epidemia la Rsa si è scontrata con i risvolti pratici delle direttive regionali che nel primo mese e passa di emergenza hanno di fatto tagliato fuori le strutture e i loro ospiti dalle procedure di emergenza. Ne è nata una dialettica di cui rimane traccia in carta bollata

Pochi esempi sono illuminanti come quello della Residenza sanitaria assistenziale (Rsa) Sant’Erasmo di Legnano, per capire gli effetti della gestione regionale lombarda sulle case per anziani cronici sotto emergenza covid. La struttura diretta da Livio Frigoli fa capo a un’omonima fondazione presieduta da Domenico Godano e ospita 125 anziani, dando lavoro ad altrettanti operatori. Come tutti, fin dall’inizio dell’epidemia si è scontrata con i risvolti pratici delle direttive regionali che nel primo mese e passa di emergenza hanno di fatto tagliato fuori le Rsa e i loro ospiti dalle procedure riservate alle stesse tipologie (nella sostanza) di imprese, lavoratori e cittadini. Ne è nata una dialettica di cui rimane traccia in carta bollata.

Prima settimana di lockdown, niente tracciamenti e tamponi in Rsa – Si inizia il 10 marzo con un esposto al comune di Legnano, in cui Godano, rappresentato dal suo legale Federica Lo Torto, segnala che una settimana prima un’operatrice dell’ente era risultata positiva al covid e messa in quarantena. La Fondazione aveva seguito tutti i protocolli: chiusura delle porte della struttura, ricostruzione dei contatti stretti avuti dall’operatrice nei 14 giorni prima del tampone e invio dell’elenco all’Unità di Malattie infettive dell’Agenzia di tutela della Salute (Ats). Da manuale. Altrettanto non si può dire della risposta. Nonostante le “ripetute richieste della direzione”, lamenta il presidente della Sant’Erasmo nell’esposto, nessuno dei nominativi segnalati, neppure i sintomatici, è stato sottoposto a tampone “per verificare l’entità del contagio in Rsa”. E così nel giro di un paio di giorni, il 5 marzo, un’ospite della struttura moriva per covid. La Fondazione tornava quindi a sollecitare l’Ats. Senza ottenere risposta.

Altri tre giorni dopo, l’8 marzo, la scoperta della positività al virus di un’altra operatrice. In quegli stessi giorni, per altro, un ospite ricoverato in ospedale e risultato positivo, veniva rispedito in struttura dove sarebbe poi venuto a mancare nelle settimane successive. “All’ultima accorata preghiera della Fondazione, Ats ha risposto apertamente di non poter supportare la Fondazione nell’effettuazione di tamponi su ospiti e personale sintomatici”, si legge ancora nell’esposto che cita puntualmente le disposizioni del ministero della Salute. In base alle quali il “rifiuto dell’Ats è illegittimo, ingiustificato e soprattutto foriero di grande pericolo per l’incolumità non solo di ospiti e personale della Rsa, ma dell’intera città di Legnano“.Seguiva richiesta al commissario straordinario del Comune di imporre all’Ats l’esecuzione dei tamponi.

Seconda settimana, gli operatori se lavorano in Rsa sono diversi – L’invito non deve essere stato raccolto se una decina di giorni dopo, il 22 marzo, in una lettera inviata per Posta elettronica certificata al Capo della Protezione Civile, al Ministro della Sanità e al presidente della Regione Lombardia, Godano segnalava che l’ordinanza emessa il giorno prima dal governatore lombardo Attilio Fontana, la numero 514, escludeva gli operatori delle strutture socio-sanitarie dal monitoraggio clinico quotidiano e dalla conseguente necessità di effettuare dei tamponi in caso di temperatura corporea superiore ai 37,3. Un’esclusione che al presidente della Sant’Erasmo “appare del tutto insensata, posto che le strutture socio-sanitarie, al pari delle strutture sanitarie, forniscono prestazioni sanitarie a garanzia e tutela del diritto alla salute costituzionalmente garantito“. Non a caso le due tipologie di strutture condividono per legge la responsabilità civile per le cure prestate.

Oltretutto, rileva ancora Godano, la scelta della Regione “comporta ripercussioni pesantissime sul contenimento della pandemia“, viste le raccomandazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità e del ministero della Salute. E “impedire i tamponi che accertano il contagio” è una “evidente violazione delle direttive delle autorità nazionali”, con un “grave pericolo per la salute pubblica”. Collateralmente ma non troppo, la missiva fa notare che così le condizioni di lavoro degli operatori sono sottoposte a ulteriore stress, rischiando di “provocarne il burnout e la conseguente interruzione di un servizio essenziale”. Oltre ad alimentare “risentimento e panico nella popolazione della Lombardia, con pericolo concreto di comportamenti incontrollati” che potrebbero “minare il mantenimento dell’ordine pubblico”.

Terza settimana, gli operatori sanitari tornano tutti uguali – Quindi la richiesta: la Lombardia garantisca pari trattamento tra gli operatori sanitari delle strutture sanitarie e i loro colleghi delle socio- sanitarie come le Rsa che, se sintomatici, devono ricevere il tampone diagnostico. La richiesta questa volta viene accolta “integralmente”, come si legge in un comunicato datato 27 marzo che annuncia il via libera della Regione allo screening degli operatori delle Rsa alle stesse condizioni del personale ospedaliero. Tutta poi da costruire la concretizzazione della delibera.

Quarta settimana, i medici di base dei cittadini in Rsa sono di serie b – Risolto il problema dell’equiparazione dei lavoratori, resta quello dei cittadini che in Rsa sembrano aver perso i propri diritti più elementari, pur avendo conservato ogni dovere. E così il 31 marzo Godano, sempre per tramite dell’avvocato Lo Torto, torna a scrivere a capo della Protezione Civile, ministro della Sanità e governatore della Lombardia. L’obiettivo è ricordare che la struttura ha già avuto dei casi di positività, ma ne sono stati accertati soltanto due con il tampone. Ora la delibera XI/2986 del 23 marzo della giunta Fontana, “richiede un potenziamento delle attività di sorveglianza e presa in cura svolte sul territorio”, con i medici di base che sono stati incaricati di monitorare i casi sospetti e segnalare all’Ats i nominativi delle persone da sottoporre a tampone. La delibera, inoltre, fa esplicito riferimento alle persone fragili, come sono gli anziani ospiti delle Rsa che hanno come medico di base quello della struttura.

A quest’ultimo quindi, è il ragionamento, andrebbero attribuite le medesime facoltà che hanno i colleghi di ambulatorio sotto covid: prescrivere i tamponi per i propri pazienti. Cosa che per altro succede in altre regioni d’Italia. Una distinzione tra medici di medicina generale e medici di Rsa, un po’ come per gli operatori, creerebbe una disparità incomprensibile tra pazienti che sarebbero discriminati solo sulla base del differente luogo in cui abitano. La Rsa infatti è una casa per malati cronici che condividono medico di base, badanti e infermieri. E le differenziazioni di screening tra cittadini che abitano in casa e quelli che vivono nelle residenze socio sanitarie, sarebbero irragionevoli oltre che pericolose, sostiene ancora la diffida. In cui la Sant’Erasmo torna a chiedere l’effettuazione di tamponi per tutti gli ospiti delle Rsa lombarde con quadri clinici sospetti, riequilibrando così la disparità con l’esterno.

Pasqua, qualcosa si muove: arrivano i primi tamponi – Qualcosa si muove soltanto dopo il 30 marzo, quando la giunta lombarda con la delibera XI/3018, oltre un mese dopo l’inizio dell’emergenza, ha previsto l’effettuazione dei tamponi anche per gli ospiti delle delle Rsa con sintomi covid. Il compito di assegnare alle strutture un laboratorio di riferimento e definire le relative procedure viene attribuito all’Agenzia per la tutela della salute, l’Ats. Ma poi per concretizzare ci vuole tempo. I primi tamponi per gli ospiti, una quarantina, sono arrivati a ridosso di Pasqua nell’ambito di una distribuzione a pioggia per le strutture. Mancano ancora quelli per gli operatori. Intanto la struttura fa i conti con una ventina di decessi dal 20 febbraio a oggi, solo due dei quali covid conclamati, oltre a quello di un infermiere e l’assenza per malattia di quasi il 40% del personale.