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Coronavirus, il comparto cultura è allo stremo: serve una riforma urgente e permanente

È in questi momenti che capiamo quanto l’arte sia importante. Se non potessimo vederci un bel film le nostre quarantene sarebbero ancora più grigie e tristi. Gli artisti sono fondamentali per la nostra vita quotidiana, e per questo motivo dobbiamo prestare viva attenzione al mondo della cultura.

Lontano dai titoloni e molto spesso con scarso interesse delle istituzioni, tra chi sta subendo maggiormente il contraccolpo economico, vi è l’intero mondo del cinema, dell’audiovisivo, del teatro. Autori, registi, attori, scenografi, musicisti, costumisti, direttori di produzione, ogni tipo di maestranza versano oggi in una situazione critica, molto peggiore del solito precariato in cui si trovano. Si stima che siano state interrotte almeno 40 riprese di film o serie, da produzioni indipendenti ai grandi player, senza contare le migliaia di teatri chiusi, grandi e piccoli, presenti in quasi ogni comune. Il danno alla filiera è enorme e il danno sociale che toccherà ai lavoratori, spesso autonomi e senza tutele, inimmaginabile.

Le imprese del settore dell’audiovisivo erano circa 8.500, per un totale di circa 61.000 dipendenti, cui si aggiungono altri 112.000 generati dall’indotto. Un totale di 173.000 lavoratori in mezzo al guado, di cui la maggioranza giovani e donne, le classi professionalmente più fragili della nostra società.

I dati di Anica (Confindustria) denotano l’estrema trasversalità delle professioni dell’indotto, dalle attività creative alla manifattura, dall’agricoltura ai servizi, fino all’edilizia, considerando anche post-produzione e distribuzione. Ad essi poi vanno aggiunte le decine di migliaia di lavoratori del teatro, altro pilastro della nostra industria culturale che non possiamo permetterci di vedere distrutta. Come diceva Aristotele: “La cultura è un ornamento nella buona sorte ma un rifugio nell’avversa”. Sottolineo con convinzione il termine industria, perché la cultura deve essere considerata come tale, nonostante qualcuno affermasse che non essa non si mangia.

È mio, nostro compito immaginare ora una nuova rinascita di questo settore considerandolo quello che è, ovvero un’industria fatta di creatività, competenza, talenti, che dà lavoro e produce valore, da sempre promotore di una condivisione collettiva che può diventare vetrina di una città e di un Stato. Perciò, prendere velocemente decisioni sia in fase di emergenza acuta, sia sulle scelte strategiche per una crescita e una trasformazione strutturale nel medio periodo, è fondamentale.

In sede emendativa al Dl Cura Italia e al Dl Liquidità, e in preparazione del prossimo decreto che il governo si sta accingendo a varare, bisogna assolutamente riconoscere i bisogni del settore e trovare dunque ulteriori risorse che portino linfa vitale a questi settori, anche in virtù della propria fragilità. Con il Dl Cura Italia si è stabilito che il 10% dei compensi incassati dalla Siae per copia privata vada in via eccezionale destinata agli autori, agli interpreti esecutori e mandatari, professionalità che oggi si ritrovano a non poter esercitare il proprio mestiere.

È un punto di partenza, ma non basta, in particolare per le decine di migliaia di professionisti legati a doppia mandata a poche migliaia di euro rinvenienti dal diritto d’autore. Occorre un’ulteriore estensione del Fis e Cigd che supporti il comparto almeno fino a tutta l’estate, consapevoli che le forti difficoltà si protrarranno fino ad allora.

L’entità del Fondo Emergenze stanziato per affrontare la crisi è troppo bassa e rischia di avere un impatto fin troppo limitato su un settore allo stremo, e soprattutto non equiparata alle misure messe in atto dagli altri Paesi Europei. È doveroso garantire un’indennità mensile con requisiti di accesso analoghi a quelli previsti per i 600 euro, estendibile a tutte le categorie.

Allo stesso tempo è necessario lavorare ad un ammortizzatore sociale specifico, che tenga conto di tutti i distinguo professionali ma che sia il più possibile inclusivo, garantendo di fatto una continuità di reddito per quei professionisti che fisiologicamente alternano periodi dove esiste rapporto professionale riconosciuto ad altri periodi in cui lavorano in proprio.

Questa crisi ha fatto soltanto esplodere un problema preesistente, la totale assenza di tutele previste per la categoria.
Si tratta quindi di una misura che va intesa come una riforma permanente, che vada oltre l’emergenza. Inoltre, per le caratteristiche peculiari del settore, sarebbe utile sfruttare il periodo di cambiamento dei processi lavorativi attuali per dare impulso alle fasi di sviluppo.

Sviluppare le parti letterarie-editoriali di prodotti audiovisivi rappresenta un’attività di primaria importanza per qualsivoglia casa di produzione e in questo momento proprio lo sviluppo da remoto è uno strumento da incentivare, attraverso un provvedimento di fiscalizzazione integrale degli oneri sociali gravanti sugli incarichi di scrittura, così da offrire alle società di produzione un incentivo a dedicare sforzi a tale attività.

Ritengo inoltre che uno strumento che sinora ha funzionato molto bene per permettere al privato di finanziare i migliori prodotti, il tax credit, vada potenziato in termini di risorse, in quanto ad oggi i fondi a disposizione sono considerati non sufficienti a soddisfare una domanda in continua crescita, e aggiungo che sarebbe giusto permettere anche al mondo del teatro di poter accedere a questo strumento. A tal proposito però, dobbiamo permettere alle imprese, fin da subito, la cedibilità dei crediti imposta maturati, immediatamente compensabile ma di fatto non utilizzabile per colpa dell’inattività.

Considerando che la legge 220/16 prevede la cedibilità del credito a intermediari bancari, finanziari, assicurativi, basterebbe solamente agevolarne la “conversione” in denaro, avendo così un doppio beneficio: costo zero per lo Stato e liquidità per sopravvivere ad un settore.

In merito al ruolo centrale svolto dalla televisione pubblica come fonte di distribuzione, va chiesto alla Rai di sostenere gli autori aumentando la presenza di film, spettacoli, serie e documentari italiani all’interno del palinsesto, e aumentare e aggiornare le tariffe dell’equo compenso per i passaggi online – questo su tutte le piattaforme digitali – che al momento sono considerati dagli autori estremamente bassi.

La quantità di proventi che rischia di mancare oggi agli autori di cinema e all’audiovisivo risulta ancora più inaccettabile in una fase in cui la visione in streaming ha raggiunto inevitabilmente la maggior diffusione di sempre, e l’equo compenso ad essi dovuto risulta troppo basso, mentre la discussione sulla Direttiva Copyright li vede praticamente esclusi, pur essendo la componente creativa in difesa della quale la stessa Direttiva è stata pensata.

Tema prioritario, infine, sul quale è necessario agire con urgenza ma in maniera pragmatica, organizzata e sicura è il tema delle riaperture, che riguarda ogni settore produttivo ma che va affrontato in maniera ancor più delicata per un settore altamente labour intensive ma estremamente non standardizzato come è il mondo delle produzioni audiovisive, così come per gli esercenti che di quelle produzioni si fanno veicoli verso il pubblico. Vanno definite con urgenza le norme da rispettare per poter ripartire, definendo quali sistemi di sicurezza vadano garantiti, quali responsabilità e quali possono essere i sistemi assicurativi da mettere in atto.

Abbiamo giustamente fermato il Paese con l’obiettivo di fermare la diffusione del virus. Ora che una luce in fondo al tunnel si può immaginare, è il momento di agire con metodo, pragmatismo e buon senso per far sì che si possa ripartire, senza distruggere lavori, competenze e imprese, risollevandolo anche a partire dalla sua industria culturale.

Dalla cultura si può ripartire perché è il nostro patrimonio collettivo e la nostra coesione sociale che determinerà la ripresa morale dell’Italia. Gli artisti ci fanno sognare, da sempre; adesso la politica deve fare la sua parte.