“A me hanno già tolto tutto. La mia azienda, un appartamento, un garage. Poi sono iniziate le minacce e le botte. Da un po’ di tempo non mi tormentano più. E io so perché…”. Trattiene il fiato, Francesco, nome di fantasia, ex imprenditore pugliese che oggi serve ai tavoli di un bar, mentre racconta la sua storia a ilfattoquotidiano.it. “Gli imprenditori – prosegue – oggi sono in difficoltà. Ci mancava il coronavirus. Ora hanno bisogno tutti di liquidità e in un piccolo paese tutti sanno a chi devono rivolgersi. Un mio ex collega ha chiesto e ricevuto. E non stento a crederci: a me hanno dato in 48 ore 40mila euro. Bastano due giorni, mentre le banche ti chiudono le porte in faccia. Certo non lo rifarei più. Mi hanno distrutto economicamente e psicologicamente e una parte della mia vita se la sono portata via per sempre”.

Una storia iniziata e mai finita quella di Francesco. “Il loro modus operandi è sempre lo stesso: si avvicinano alle aziende in difficoltà. Prestano aiuto. Ti impongono di assumere uno di loro all’interno dell’azienda e da quel momento avranno tutto sotto controllo: il tuo conto in banca, entrate e uscite. Conosceranno le tue abitudini e i tuoi punti deboli. Saranno presenti nella tua vita in ogni momento”. Come un cappio al collo. In un piccolo paese nell’entroterra pugliese, succede quanto accade in una buona parte del Mezzogiorno di Italia e non solo. Piccoli imprenditori, commercianti e artigiani che per far sopravvivere l’azienda di famiglia, sopportano e cercano di andare avanti. Con il coronavirus la situazione rischia di precipitare drammaticamente.

Luciana e Giovanni sono proprietari di una piccola macelleria di un quartiere popolare, nell’estremo nord della Puglia. “Oggi non è entrato nessun cliente. Abbassiamo la saracinesca con la cassa vuota. Abbiamo comprato casa e dobbiamo pagare un mutuo. Poi ci sono le bollette e l’affitto del locale. Un uomo di bella presenza qualche giorno fa, si è affacciato in negozio. Abbiamo parlato del più e del meno. Alla fine, ci ha detto che se avessimo bisogno di una mano, avremmo potuto chiedere a lui. Tanto, diceva, c’è tempo per restituire. Io e mio marito, ci siamo guardati negli occhi e abbiamo rifiutato. Ma non so come faremo ad andare avanti”.

Gli usurai arrivano dove c’è bisogno. Conoscono i comparti in difficoltà e offrono una mano immediata. Denaro in tempi da record. E non tutti hanno il coraggio di dire no. Sergio è un artigiano. Una bottega tramandata di padre in figlio. Gli affari non andavano bene da un po’. Le spese aumentavano, i figli avevano bisogno di una mano. Nei piccoli paesi, lo strozzino ha un volto. Tutti sanno. Tutti tacciono. “L’ho incrociato per strada e gli ho chiesto di aiutarmi. Diecimila euro. Ho promesso che li avrei restituiti a stretto giro. La cifra si è raddoppiata. Non riuscivo a pagare. Poi il coronavirus. Il locale chiuso. Gli incassi azzerati. All’ennesima minaccia, ho chiesto aiuto”.

“Non ho mai pensato che ci fosse qualcosa di male a comprare un biglietto al giorno di ‘Gratta e vinci’”. Francesca, ha poco più di 50 anni, ha il vizio dell’azzardo, quello offerto dallo Stato. “Ho cominciato a comprarne, due, tre, senza successo. E ancora ci riprovavo il pomeriggio e in serata. Pochi spiccioli investiti e i debiti che crescevano. È stato proprio chi mi vendeva i biglietti a indicarmi chi avrebbe potuto darmi una mano. Per comprarne ancora e chissà, per vincere. Ma i debiti sono aumentati. Da due mesi non si lavora e non si incassa. E bisogna saldare altrimenti arrivano le minacce. Quelle che fanno paura”.

Due giorni, 48 ore, per ricevere l’aiuto necessario a sopravvivere. Così la malavita si organizza ai tempi del coronavirus, ai tempi delle aziende chiuse e delle produzioni ferme. Ai tempi delle scadenze che arrivano e del denaro che non si incassa. E dove l’accesso al credito richiede iter burocratici lunghi, la macchina della criminalità assicura velocità e un po’ di ossigeno. Almeno apparentemente. Perché un prestito da 40mila euro si trasforma in un debito senza fine. Tranche da 10mila euro al mese che se non paghi si raddoppiano. I tentacoli degli usurai arrivano ad appartamenti di proprietà, ad auto, a capannoni. Si impadroniscono di tutto. Quando non c’è più niente da prendere, arrivano le minacce, i calci e i pugni.

In questi sessanta giorni di lockdown, in tantissimi hanno pensato di rimediare ai debiti familiari, di lavoro e di gioco rivolgendosi alla malavita. “Arrivano segnalazioni da tutta la Puglia – racconta a ilfattoquotidiano.it Attilio Simeone, legale della Fondazione antiusura San Nicola e Santi Medici e della Consulta nazionale che raggruppa ben 33 fondazioni antiusura presenti in ogni regione d’Italia – Le storie portano nomi diversi ma hanno un comune denominatore: debiti che si raddoppiano e un incubo senza fine per chi si rivolge agli usurai”.

“Segnalazioni stanno arrivando – prosegue ancora Simeone – sia per i mutui già garantiti dalle Fondazioni antiusura sia da chi in questo periodo ha ricevuto la notizia che non rientrerà più a lavoro perché licenziato. In particolare, a soffrire sono gli artigiani che già stentavano prima dell’avvento del coronavirus. C’è tutta la filiera dei piccoli produttori di latte di Gioia del Colle in crisi, così come in crisi cronica è tutto l’indotto dell’ex Ilva. Come Fondazione Antiusura ne seguiamo diversi che hanno deciso di ribellarsi alla schiavitù dell’usuraio e hanno fatto denuncia”.

Agli usurai si arriva perché talvolta non si vedono alternative. “Quando non riesci a portare il pane a casa per sfamare i tuoi figli cosa fai? Magari – racconta Alessandro, dal profondo sud della Puglia – sei uno come me ‘criffato‘, come cattivo pagatore, per non aver coperto qualche rata alla finanziaria. Sei nel libro nero insomma, perché per un paio di mesi gli affari non sono andati bene. Poi il blocco e i soldi che scarseggiano. La spesa e le bollette. I bambini devono mangiare e gli usurai sono lì, pronti a darti nell’immediato ciò che ti serve. In quei momenti non ti rendi conto del guaio in cui ti stai andando a mettere. Sai solo che devi portare la spesa a casa. Ma poi iniziano i guai”.

Il carico da novanta arriva – secondo Simeone – proprio dallo Stato quando ha deciso di cassare un emendamento proposto dal Movimento 5 Stelle su sollecitazione della Consulta Nazionale Antiusura. Il provvedimento prevedeva la sospensione per un totale di 9 mesi del pagamento delle rate dei mutui e dei finanziamenti concessi, la sospensione delle procedure esecutive (pignoramenti) fino al 31 dicembre 2020, l’accesso delle famiglie al fondo di solidarietà antiusura limitatamente al periodo di vigenza dell’emergenza (e sino ad un anno dopo la sua cessazione) e il finanziamento del Fondo di Prevenzione ex art. 15 per il 2020 mediante lo storno in suo favore del 20% dell’attivo risultante al 31 dicembre 2020 (con un anticipo del 20% sul saldo attivo al 30 giugno 2020).

“Tutta la manovra sarebbe stata a costo zero per il bilancio dello Stato – tuona Simeone – perché si trattava di togliere alla politica risorse che indebitamente percepisce. Ma il Governo ha detto no con tutte le conseguenze che si temono perché qualche burocrate ha deciso di non sostenere l’iniziativa e di non fornire sostegno tecnico necessario”. Intanto, c’è chi ha perso già tutto e chi rischia di essere “strozzato”. E c’è chi il rischio lo ha già corso. Il welfare della malavita corre veloce per le strade delle città, non conosce burocrazie, entra nelle aziende, nelle attività commerciali e offre ossigeno. Ma a carissimo prezzo.

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