Sistemi sanitari al collasso, pochi posti in terapia intensiva e milioni di lavoratori rimasti da un giorno all’altro senza reddito. Ilfattoquotidiano.it ha raccolto alcune testimonianze da America Latina e Ucraina per capire l’entità dell’emergenza e le misure messe in atto dalle autorità per contenere l’epidemia di coronavirus.
Bolivia – “In tutto il Paese ci sono 430 camere in terapia intensiva, di cui solamente il 40% è di pertinenza della sanità pubblica. Non ci sono condizioni sanitarie adatte, strutture mediche, personale specializzato che possa occuparsi di fronteggiare l’emergenza nel caso dovesse diventare più grave di quanto lo è attualmente”. A parlare è Sara Soldavini, 25 anni, coordinatrice e rappresentante dell’Ong Centro Volontari di Cooperazione. Da mercoledì 25 marzo, anche lei è chiusa in casa a La Paz: “Quel giorno la presidentessa Jeanine Áñez, ha annunciato che si sarebbe potuti uscire dalle 7 alle 12 solo un giorno a settimana”. Una notizia che ha profondamente scosso la popolazione in un Paese dove, come in tanti in Sudamerica, l’economia informale riguarda la maggior parte dei lavoratori che guadagnano in base alle vendite del giorno. “In molte zone della Bolivia la gente – racconta Sara – manifesta per l’impossibilità di poter auto-sostenersi, e chiede al governo aiuti per poter fronteggiare la situazione. E in tanti vivono per strada senza una casa in cui rifugiarsi”.
Cuba – “Ogni sera alle 21, dalle finestre e dai balconi, si applaude per un minuto il personale sanitario impegnato a Cuba e all’estero per contrastare l’epidemia”, racconta Renato Della Giovanna, italiano trapiantato all’Avana. Nella patria di Che Guevara è tutto chiuso: scuole, teatri, cinema, chiese. Il clima è surreale. “Sin dall’inizio dell’epidemia chi sa cucire ha preparato le mascherine gratuitamente per i cittadini”, racconta la giornalista del “Granma Internacional”, Gioia Minuti. In tutta l’isola è stato distribuito gratis un medicinale omeopatico per rinforzare il sistema immunitario: tutti i cubani, adulti e bambini, lo stanno prendendo. “I cubani – spiega Gioia – sono abbastanza disciplinati, ma ci sono code per l’acquisto di yogurt e pollo. Ogni giorno viene trasmessa la conferenza stampa delle autorità sanitarie”
Colombia – La quarantena rischia di mettere in ginocchio le fasce più deboli. “La sindaca di Bogotá sta prendendo misure aggiuntive, come alternare le uscite degli uomini nei giorni dispari e le donne nei giorni pari – spiega Matilde Ceravolo, vice capo cooperazione della delegazione dell’Ue in Colombia -. Ma se nella capitale le regole adottate funzionano, nel resto del Paese la situazione è preoccupante, non solo per la mancanza di strutture sanitarie, ma anche per la presenza di gruppi armati, che in alcuni casi ne approfittano per occupare il territorio. Poi ci sono i migranti venezuelani, che non hanno una casa dove stare. La metà della popolazione – continua – lavora di attività informali per strada e se non può uscire di casa perde automaticamente la sua fonte di reddito. Si stanno approntando programmi di cash transfer e assistenza monetaria per i più poveri ed è raddoppiata la violenza domestica”. A Pasqua i contagiati erano più di 2700, oltre cento i morti.
Ucraina – Il sistema sanitario rischia di crollare e solo severe misure di contenimento sociale possono mantenere in equilibrio la situazione secondo la giornalista Oka Tokariuk: “Qui già prima del Covid-19 i pazienti che andavano in ospedale spesso erano costretti a comprarsi siringhe e medicine. Il governo ha deciso di imporre delle regole di quarantena da subito per evitare che vi sia un sovraccarico sul sistema sanitario che potrebbe franare”. Dal 6 aprile è vietato uscire senza mascherina, essere in gruppo in più di due, e andare nei parchi e gli over 60 hanno l’obbligo di restare in casa. “Hanno chiuso i mezzi pubblici nelle grandi città, a Kiev non funziona più la metropolitana, è la prima volta in più di 60 anni. Ci sono pochissimi autobus e non si può salire senza un permesso del datore di lavoro”, racconta. A soffrire maggiormente è la zona ovest del Paese dove molti migranti provenienti anche dall’Italia sono tornati a casa contagiando i parenti. “Ad oggi – spiega la collega – ci sono circa 2200 casi e 70 morti, ma il picco non è ancora arrivato”.