Nell'ipotesi disegnata in via Arenula ci sonocamere di consiglio, quelle in cui si prendono le decisioni, tenute a distanza dai giudici dello stesso collegio. E l’utilizzo delle pec anche nel processo penale per il deposito di atti e documenti
La fase 2 per la giustizia pensata dal ministero della Giustizia non piace a penalisti e al Garante della Privacy che ha scritto al Guardasigilli, Alfonso Bonafede. Nell’ipotesi disegnata in via Arenula ci sono i processi urgenti celebrati senza la presenza di giudici e delle parti nella stessa Aula, ma con ciascuno collegato da remoto. E poi camere di consiglio, quelle in cui si prendono le decisioni, tenute a distanza dai giudici dello stesso collegio. E l’utilizzo delle pec anche nel processo penale per il deposito di atti e documenti.
Questa ipotesi – che dovrebbe iniziare il 12 maggio e proseguire almeno sino al 30 giugno, o forse oltre, se il numero dei morti e dei contagiati non subirà per allora una robusta flessione – però suscita le perplessità dell’Unione delle Camere penali e sotto il profilo della privacy anche di Antonello Soro. Dall’inizio dell’emergenza vengono celebrate solo le urgenze, sia nel settore penale, che in quello civile. Un blocco insostenibile se dovesse proseguire ancora per mesi perché equivarrebbe alla sostanziale paralisi della giustizia. Ed è per questo che si ragiona su come ripartire in condizioni di sicurezza, senza mettere a rischio il diritto alla salute di tutte le parti del processo.
Il ministro della Giustizia ha convocato un tavolo virtuale a cui ha chiamato a partecipare l’Associazione nazionale magistrati dell’Avvocatura e l’ampio mondo rappresentativo dell’Avvocatura: il Consiglio nazionale forense, l’Organismo congressuale forense, le Camere penali e le Camere civili, i Giuslavoristi e l’Associazione dei giovani avvocati. Si sono già tenute due riunioni, in cui raccontano i partecipanti, il ministro ha soprattutto ascoltato le loro opinioni senza sbilanciarsi. Ma la strada sembra comunque tracciata da un emendamento del governo al decreto Cura Italia, che appunto prevede udienze, camere di consiglio, e anche atti di indagini preliminari da remoto. Il testo è stato approvato dal Senato e ora è all’esame della Camera.
La prospettiva dei processi a distanza- come riporta l’Ansa – allarma l’avvocatura e soprattutto l’Unione delle Camere penali, che alla vigilia dell’ultimo incontro ha scritto al ministro chiedendo di farsi promotore della sospensione dell’entrata in vigore di questa disciplina, perché eliminare “la fisicità del luogo di udienza e delle relazioni tra i soggetti del processo” “mina le fondamenta, i principi costituzionali di garanzia e viola, per le modalità previste, le vigenti regole di protezione dei dati e di sicurezza informatica” . Un freno al processo da remoto arriva anche dal garante della privacy Antonello Soro, che- investito dai penalisti- ha a sua volta inviato una lettera al ministro Bonafede, chiedendogli di fornire “ogni elemento ritenuto utile alla migliore comprensione delle caratteristiche dei trattamenti effettuati nel contesto della celebrazione, a distanza, del processo penale”. Le norme prevedono che la partecipazione a distanza avvenga tramite due programmi commerciali di Microsoft e il Garante condivide la preoccupazione “sull’eventualità che Microsoft possa desumere dai metadati nella sua disponibilità, alcuni dati giudiziari particolarmente delicati“.