Dopo 55 edizioni il bollettino sui numeri del contagio diventa bisettimanale. Il motivo? "Si è alleggerita decisamente la pressione sulle strutture ospedaliere", ha spiegato Borrelli. Dalla prima edizione nella tarda sera di sabato 22 febbraio (con Conte e Speranza) al successo sui social (e in tv): storia di un appuntamento che ha segnato due mesi di epidemia
Negli Stati Uniti hanno una particolare definizione per indicare quel momento in cui realizziamo che sta accadendo, o è appena accaduto, qualcosa di clamoroso e epocale. Qualcosa che cambierà per sempre non solo la nostra vita, ma anche le vite di tutti gli altri. Gli americani lo chiamano Kennedy Moment, cioè Momento Kennedy, riferito ovviamente all’assassinio di Jfk a Dallas. Un concetto poco utilizzato negli ultimi anni: abusato nei giorni delle Torri Gemelle, in tempi recenti ha dato soprattutto il titolo a un bel libro. Adesso, con l’inizio della pandemia, viene ripescato un po’ ovunque. Quando ci siamo accorti che il coronavirus non era solo un fatto di cronaca estera? Quando abbiamo capito che non riguardava solo i cinesi ma avrebbe influito su tutto il mondo Occidentale? Che ci avrebbe cambiato la vita per sempre? Il dibattito è ancora aperto, soprattutto in rete. E in tanti legano il loro momento Kennedy al 22 di febbraio. Ricordate? Erano passate solo 24 ore dalla notizia del cosiddetto paziente 1, Mattia di Codogno, la prima persona che si è ufficialmente ammalata di coronavirus in Italia, e la situazione appariva già da subito particolarmente seria.
Talmente seria che Giuseppe Conte era comparso in conferenza stampa nella sede della Protezione civile poco dopo le 23 e 15. Era sabato sera, per molti l’ultimo vero “sabato sera” recente. Per il premier, invece, era il primo passato eccezionalmente in diretta tv: nelle settimane successive sarebbe stato costretto a ripetersi. Quella sera alla sinistra di Conte sedeva Roberto Speranza, il ministro della Salute, mentre ai lati del tavolo c’erano due personaggi che l’Italia ancora non conosceva. E infatti il premier aveva dovuto presentarli: erano Angelo Borrelli (“Ah già, il capo della Protezione civile non è più Guido Bertolaso da un pezzo”, avrà detto più di qualcuno davanti alla tv) e Silvio Brusaferro. Ancora nessuno poteva saperlo, ma quei due sarebbero presto diventati una coppia molto nota per la maggior parte del Paese. Questo perché quella fissata di sabato sera è stata la prima di 55 conferenze quotidiane, che avrebbero scandito la quarantena di 60 milioni di persone. Almeno fino a oggi, visto che l’appuntamento con i dati non sarà più quotidiano, ma solo bisettimanale, il lunedì e il venerdì. Da domani i numeri del contagio saranno diffusi solo online sul sito della Protezione civile. Il motivo? “I dati sanitari – ha spiegato Borrelli – ci indicano che si è alleggerita decisamente la pressione sulle strutture ospedaliere, per questo abbiamo deciso di rimodulare le conferenze stampa: continueremo a garantire massima trasparenza su dati ogni giorno veicolandoli sul sito, mentre due volte a settimana terremo un punto stampa”.
L’ha chiamato proprio così: punto stampa, nonostante sarà anche lui consapevole che si tratta ormai di ben altro. E basta dare un occhio ai social per rendersene conto: la lettura dei numeri di nuovi contagi, casi totali, guariti e – putroppo – vittime è ormai diventata una sorta di rituale laico dell’emergenza. Un appuntamento quotidiano atteso nelle redazioni dei giornali, ma anche in molte case degli italiani: possono cambiare le ordinanze restrittive, le zone rosse, gli orari di apertura dei supermercati, ma alle 18, di sicuro, Borrelli comparirà sullo schermo a snocciolare dati. Solo una volta non l’ha fatto, il 25 marzo, cioè quando gli é venuta la febbre, stato patologico particolarmente spaventoso di questi tempi: praticamente il Paese intero è entrato in apprensione. In quel caso la Protezione civile era andata nel pallone: prima aveva annullato la conferenza stampa, poi aveva annullato l’annullamento mandando davanti ai giornalisti due sostituti.
È l’unica grande sbavatura. Per il resto il copione è sempre abbastanza simile. Alle 18 e qualche minuto compare il capo della Protezione civile ed elenca subito in fila: nuovi casi in 24 ore, guariti totali, pazienti in terapia intensivia e – solo alla fine – i morti. Quindi numero di tende per il triage, volontari sul campo, ammontare delle donazioni. Un vero e proprio format che prevede uno sparring partner diverso ogni giorno per il capo della Protezione civile, uomo pratico e dall’eloquio diretto e dunque bisognoso di uno “scienziato” a suo fianco, come lo chiama lui stesso. Chi c’è oggi in conferenza stampa?, è stata la domanda più frequente nel pomeriggio inoltrato degli ultimi 55 giorni. Le frasi brevi e dettagliate di Brusaferro, dell’Istituto superire della Sanità? O Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento Malattie Infettive? O ancora Franco Locatelli, divenuto notissimo in quasi due mesi d’emergenza. Sul presidente del Consiglio superiore di sanità e il suo eloquio forbito sono stati scritti ritratti entusiasti sui giornali e creati fan club su twitter. Filippo Sensi, già portavoce di Matteo Renzi a Palazzo Chigi e ora deputato del Pd, gli ha dedicato un hashtag di tendenza (#livinglavidaloca), mentre i telespettatori hanno ormai familiarizzato con termini come “scotomizzare” o “dato granulare“, usati abitualmente da Locatelli, che nell’ultimo appuntamento quotidiano è riuscito a dire per ben due volte la parola “clearare“.
Insomma: in un momento storico senza precedenti, drammatico e a tratti terrorizzante, l’appuntamento fisso alla Protezione civile ha tutti gli ingredienti per entrare nel cuore degli italiani. Certo siamo in Italia e dunque non potevano mancare le polemiche: dalle firme dei principali quotidiani che hanno sempre accusato Borrelli di “non sapere comunicare”, a quelle più scientifiche sui dati. Ha senso dare solo i numeri di contagi, morti e ricoverati? Non è necessario fornire anche una lettura critica? Di quanto aumenta il contagio in termini percentuali? Parlarne male, però, vuol dire parlarne. E la conferenza stampa è ormai diventata una certezza anche in termini di share: a marzo era sopra il 15, ad aprile lieve caduta tra il 12,5% e il 14,5%. Intorno i palinsesti si sono organizzati: su Rai Uno era prevista una finesta ad hoc all’interno della Vita in diretta, su La 7 c’era uno speciale fisso, le all news ovviamente trasmettevano l’integrale.
Si dirà (anzi tantissimi lo dicono già): ma se va così bene ed è così apprezzata, utile, allora perché la cancellano? O meglio: perché non la fanno più ogni giorno? Forse perché, come sostengono alcuni, non si capisce più che senso abbia fare ancora un bollettino quotidiano? Può essere. Anzi è più che probabile. D’altra parte è quello che ha detto, più o meno, lo stesso Borrelli: “I dati sanitari ci indicano che si è alleggerita decisamente la pressione sulle strutture ospedaliere, per questo abbiamo deciso di rimodulare le conferenze”. L’emergenza sta – piano piano – diventando meno emergenza. E dunque basta con l’appuntamento quotidiano coi dati, vanno bene due a settimana. Poi sarà una, e quindi prima o poi – si spera – nessuna. La guerra è tutt’altro che finita: però pare che gli americani siano sbarcati. Sempre loro: quelli del momento Kennedy.