Le banche sono pronte ad anticipare il trattamento di cassa integrazione ordinaria, in deroga o assegno ordinario del fondo di integrazione salariale (Fis). Sulla scia di quanto stabilito dal decreto dello scorso 17 marzo, i lavoratori sospesi dal lavoro per l’emergenza Covid-19 potranno infatti chiedere agli istituti di credito l’anticipo su quanto verserà successivamente l‘Inps. Secondo quanto riferisce l’Abi, il 94% delle banche ha già aderito all’iniziativa sulla quale però l’Ordine dei commercialisti è estremamente critico perché teme che le lungaggini procedurali facciano arrivare troppo tardi i soldi nelle tasche dei lavoratori: agli inizi di maggio, nella migliore delle ipotesi. E magari anche con annesso il rischio di doverli restituire nel caso in cui non vada a buon fine la domanda di accesso agli ammortizzatori da parte dell’azienda. Prima di muoversi, meglio quindi aver ben chiaro il funzionamento dell’intera procedura.
Richiesta anche per via telematica – Innanzitutto, la richiesta di anticipo può essere presentata in qualsiasi istituto anche per via telematica. A patto che la banca abbia aderito alla convenzione siglata il 20 marzo scorso fra l’Associazione bancaria, imprenditori e i sindacati Cgil, Cisl, Ugl e Uil. La domanda dovrà essere corredata di tutte le informazioni relative all’azienda che ha fatto richiesta degli ammortizzatori sociali per i quali si domanda l’anticipo. Si tratta di un presupposto sostanziale che, secondo quanto evidenziato dall’Ordine dei commercialisti e da quello dei consulenti del Lavoro, sta determinando ritardi nell’accesso ai fondi: non tutte le Regioni hanno infatti già definito gli accordi con i sindacati per la cassa integrazione in deroga. Secondo quanto ha riferito il governo lunedì 13 aprile, sono solo 11 quelle che stanno provvedendo all’invio dei dati per la cassa in deroga. Giovedì 16 aprile si è aggiunta la Lombardia. I numeri sono già importanti a fronte dei 3,3 miliardi stanziati. Più fluida la situazione per le domande da presentare direttamente all’Inps. Al 10 aprile, le richieste pervenute (ma non ancora approvate) dalle aziende all’ente previdenziale per la cassa ordinaria erano circa 198mila per un totale di 2,896 milioni di lavoratori, mentre le domande di assegno ordinario erano a quota 100.800 per 1,682 milioni di beneficiari.
La banca farà istruttoria sul merito creditizio del lavoratore – Tornando alla procedura per l’anticipo, presentata la domanda tocca alla banca valutare la pratica. “L’accordo con l’Abi parla di un’istruttoria di merito creditizio nei confronti del lavoratore. Ma questa previsione rischia di essere un problema per chi ha un finanziamento in corso e magari non sia riuscito a pagare qualche rata di credito al consumo”, spiega Roberto Cunsolo, consigliere dell’Ordine nazionale dei commercialisti. Tanto basta, infatti, per essere segnalati alla Centrale rischi finanziari (Crif) e di conseguenza vedersi rifiutare l’anticipo degli ammortizzatori. L’argomento non è da poco visto che il governo nei provvedimenti adottati finora non ha previsto lo stop alle rate per i piccoli prestiti.
Se l’esito dell’istruttoria è positivo, la banca avvisa “tempestivamente” il lavoratore. L’anticipazione dell’indennità spettante avviene poi con l’apertura di credito in un conto corrente apposito, se richiesto dalla banca. L’importo forfettario complessivo sarà “pari a 1.400 euro, parametrati a 9 settimane di sospensione a zero ore (ridotto proporzionalmente in caso di durata inferiore), da riproporzionare in caso di rapporto a tempo parziale” come spiega la convenzione.
Versamento in 30 giorni – Il denaro dovrebbe arrivare nel giro di 30 giorni dalla ricezione della domanda. I tempi sono quindi ben più brevi rispetto al pagamento della cassa integrazione che normalmente arriva dopo due o tre mesi. Tuttavia, secondo i commercialisti, sarebbe stato meglio identificare soluzioni più veloci. “Dal nostro punto di vista sarebbe stato opportuno introdurre un meccanismo automatico simile a quello usato per gli 80 euro: si davano i soldi a tutti e poi a fine anno si facevano i conti – riprende Cunsolo -. Chi non ne aveva diritto avrebbe restituito, chi ne aveva diritto avrebbe beneficiato immediatamente del denaro. E’ stata invece scelta una procedura ordinaria per una situazione d’urgenza che avrebbe richiesto interventi veloci, soprattutto per le microimprese, saltando passaggi come la trattativa con i sindacati”.
Non sono previste commissioni ma occhio alle spese – Non sono previste commissioni per l’anticipo bancario. Almeno sulla carta, ma l’Adusbef suggerisce distare in allerta come nel caso dello slittamento delle rate dei mutui. Del resto come precisa l’accordo siglato dall’Abi, “in riferimento all’apertura dell’apposito conto corrente e alla correlata apertura di credito, le banche che applicano la convenzione adotteranno condizioni di massimo favore al fine di evitare costi, in coerenza alla finalità ed alla valenza sociale dell’iniziativa”. Ma da nessuna parte, nella convenzione, compare l’indicazione zero spese per il cliente. Infine l’apertura del credito terminerà con il versamento da parte dell’Inps del trattamento di integrazione salariale che estinguerà il debito e, comunque, non potrà avere durata superiore a sette mesi.
Il nodo dell’obbligo di garanzia da parte dell’azienda – Sullo sfondo resta il tema della garanzia del lavoratore e dell’imprenditore nel caso in cui l’Inps non paghi. “La richiesta di anticipo in banca da parte del lavoratore viene effettuata prima che l’Inps abbia accettato la richiesta degli ammortizzatori da parte dell’impresa pretendendo un obbligo insolito di garanzia a carico dell’azienda” conclude Cunsolo. Di che cosa si tratta esattamente? In pratica, se l’ente previdenziale decide di non accogliere la richiesta, magari anche solo per errori di procedura o perché i fondi stanziati sono terminati, la banca potrà richiedere la restituzione della somma anticipata direttamente al lavoratore. Quest’ultimo dovrà rimborsare il denaro entro 30 giorni dalla richiesta. A meno che non intervengano a tutela del lavoratore i fondi di garanzia eventualmente stanziati dagli enti locali.
“Non si tutelano certo i lavoratori facendoli indebitare con le banche a causa di possibili ritardi nell’erogazione degli ammortizzatori da parte dell’Inps”, commenta Antonio Amoroso della Confederazione Unitaria di Base (Cub) che denuncia come diverse piccole e medie imprese stanno rifiutando l’applicazione della convenzione ai lavoratori che lo richiedano. La ragione? Il “vincolo di coobligato per l’imprenditore al saldo del debito contratto dal lavoratore”. In pratica se è il lavoratore a dover pagare, allora “il datore di lavoro verserà su tale conto corrente gli emolumenti spettanti al lavoratore, anche a titolo di TFR o sue anticipazioni, fino alla concorrenza del debito”, come precisa la convenzione, evidenziando come il lavoratore darà preventiva autorizzazione, al momento della domanda di anticipo. L’estinzione del debito avverrà in “via prioritaria” rispetto ad eventuali altri vincoli. Ma la responsabilità del datore di lavoro sarà in solido con il lavoratore “a fronte di omesse o errate sue comunicazioni alla banca ai sensi della presente convenzione ovvero a fronte del mancato accoglimento – totale o parziale – della richiesta di integrazione”. Un vincolo in più che rischia di vanificare parte dell’intervento del governo a favore di imprese e lavoratori.