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Venerdì 17 di un anno bisestile (e in piena emergenza coronavirus): perché si crede che questo giorno “porti sfortuna”

Il problemino legato a venerdì 17 ha comunque un nome: eptacaidecafobia

L’anno bisesto più il venerdì 17. Saranno 24 ore di corna, cornetti, gesti apotropaici assortiti. Non bastava l’anno con 366 giorni invece di 365. Oggi in piena quarantena coronavirus ci mancava anche il venerdì sdrucciolo, quello con il numero che porta male. Certo, #restiamoacasa. Quindi il problema, a grandi linee, non si pone. Ma qualche estimatore clandestino di Final destination, o di qualche gag di Totò, potrebbe ricordare che i pericoli si celano prima di tutto tra le quattro mura casalinghe. Insomma, attrezzatevi, magari stando fermi immobili sul divano, così non vi tracciano nemmeno mentre vi spostate al bidone dell’immondizia per il minuto clandestino d’aria. Intanto due o tre cose che sappiamo di questa giornata numericamente sui generis.

Sull’anno bisesto, anno funesto, oramai sapete tutto. Capita ogni quattro anni, con febbraio che si aggiunge il giorno 29 come vezzo invernale, un po’ per coprirsi dagli ultimi spifferi di freddo, un po’ perché come ci insegna puntualmente Wikipedia è “un anno solare in cui avviene la periodica intercalazione di un giorno aggiuntivo nell’anno stesso, un accorgimento utilizzato in quasi tutti i calendari solari (quali quelli giuliano e gregoriano) per evitare lo slittamento delle stagioni”. In pratica ogni 128 anni (per il giuliano) e ogni 3323 anni (per il gregoriano) si accumula un giorno in più di ritardo rispetto all’evento astronomico. Per correggere questo slittamento, agli anni “normali” di 365 giorni (ogni 4 anni) si intercalano gli anni “bisestili” di 366. Sulla vicenda del venerdì 17 sappiamo che è una superstizione esclusivamente italiana.

A sentire gli antichi greci, o meglio i seguaci di Pitagora, il disprezzo per il 17 era dovuto al fatto che come numero si trovava tra il 16 e il 18, numeri che rispecchiavano perfettamente la rappresentazione di quadrilateri 4×4 e 3×6. Nell’Antico Testamento, invece, il 17 del secondo mese risulta la data di inizio del diluvio universale. Nella Roma imperiale poi si usava scrivere “VIXI”, ovvero “ho vissuto”, “sono morto”. Scritta che nel Medioevo, grazie al classico telefono senza fili con in aggiunta un alto tasso di analfabetismo, è diventata un’iscrizione molto diffusa ma confusa con il numero 17 scritto XVII. Il problemino legato a venerdì 17 ha comunque un nome: eptacaidecafobia. Mentre, come sappiamo da numerose tombole natalizie, o da qualche oramai antico giocatore del lotto, per la smorfia napoletana il 17 corrisponde a “la disgrazia”. Insomma giorno ricco (di sfiga) mi ci ficco, ma anche no.