Società

Coronavirus, sono volontario della Croce Rossa ma mi sento come lo scrutatore di Calvino

Premo il pulsante di accensione. Il consueto bip – che in realtà suona più tipo “biùp” – mi avvisa che il Bluetooth del cellulare ha agganciato quello dell’autoradio, e avvia in automatico il daily di Spotify, con le tracce suggerite sulla base di quello che ascolto di solito. Volume a 13, in modo da poter sentire la musica e allo stesso tempo pensare ad altro. La prima canzone che parte è di Anderson Paak. Bravo algoritmo.

Sul sedile del passeggero, in una busta trasparente, ho messo l’autocertificazione e l’attestato della Croce Rossa che dettaglia i giorni in cui svolgo il servizio di volontario e le relative mansioni, in modo da aver tutto pronto per un eventuale posto di blocco. Ma, finora, è stata una precauzione inutile.

Non faccio pace facilmente con il concetto di “volontariato”. Ammiro chi passa il proprio tempo libero ad aiutare gli altri, certo. Ma ho sempre pensato che, specialmente in campo sanitario ed assistenziale, tutti i servizi dovrebbero essere garantiti dallo Stato.

Sono dalla parte della solidarietà e dell’aiuto reciproco, non della beneficenza e del volontariato. Però, di questi tempi, c’è poco da fare filosofia. Il modo più semplice ed immediato per dare una mano in questo momento storico difficile era compilare quei moduli. L’ho fatto, eccomi qui.

Adesso è una vecchia e bellissima canzone di Luigi Tenco ad uscire dagli altoparlanti. Intorno a me c’è un accenno di traffico. Tipo la domenica mattina prestissimo, quando torni a casa dopo aver fatto serataccia, e ti rendi conto che c’è chi comincia la propria giornata mentre tu finisci la tua. Guardo le macchine con lo stesso stupore, la stessa epifania che avrei all’alba di una di quelle domeniche.

Quando giro a piedi, la pettorina della Croce Rossa – insieme a mascherina e guanti – cambia in maniera radicale il modo in cui la gente mi guarda. La maggior parte sorride e lancia incoraggiamenti. C’è chi, incontrandomi al portone di casa, mi squadra con preoccupazione. Che ci fa qui? È un ladro travestito? O c’è un infetto nel condominio e sta venendo ad assisterlo senza che io ne sappia nulla?

Tutti concordano sul fatto che le scene più esilaranti avvengono al supermercato, quando ovviamente superi tutta la fila per entrare a fare la spesa per chi non può, e vieni bersagliato da insulti e imprecazioni da chi aspetta, magari le stesse persone che dieci minuti prima ti avevano benedetto.

Quant’è salutare questo sorso di vita vera dopo settimane di quarantena. Mi aiuta a riprendere un po’ confidenza con la realtà. Che poi, chissà come sarà la vita vera nei prossimi mesi, forse anni. Su internet stiamo leggendo tutto e il contrario di tutto. Da rapper, è chiaro che la cosa che mi interessa maggiormente è sapere quando riprenderanno i concerti.

Amici manager mi dicono che molti festival e grandi eventi hanno già tirato una riga sopra il 2020, e stanno mettendo a punto le lineup per l’estate ’21. Non voglio pensarci. Sarebbe devastante non solo per noi artisti, ma anche per tutte le professioni tecniche, logistiche ed organizzative legate alla musica e al suo indotto. Chi riuscirà a riciclarsi lo farà. Chi no… forse dovrà affidarsi ai pacchi spesa di solidarietà, esattamente come stanno facendo già tanti in questi giorni.

Intanto lo stereo passa a Mos Def. Picchietto il tempo col medio sul volante, canticchio le parti delle strofe che mi ricordo. La cosa che mi impressiona di più, forse, è vedere persone apparentemente benestanti che non hanno i soldi per fare la spesa. E, a volte, si vergognano così tanto che sono parenti o conoscenti a doverla chiedere per loro, e quando gliela porti arrossiscono e balbettano scuse, come se in qualche modo ti dovessero giustificare il loro bisogno.

La povertà si manifesta in molte forme, e non è detto che le conosciamo tutte, o che ce le ricordiamo sempre. Ma a volte vivo anche esperienze esilaranti: in un quartiere popolare, una signora molto anziana mi presenta la lista dei farmaci che le servono scritta su una banconota da 100 euro falsa, perché “è l’unica carta che ho”, e poi mi guarda come se fosse la cosa più normale del mondo.

Ci sono quelli che ne approfittano, e mettono nella lista della spesa 5 casse di acqua minerale, oltre a tutto il resto, da recapitargli al terzo piano senza ascensore. Ci sono gli ultraottantenni che invece dicono no, io sto bene in salute, non mi serve nessuno che vada al supermercato o in farmacia al posto mio.

C’è un vasto assortimento di umanità, di Italia, che mi aspetta nelle prossime ore. E vorrei parlare con tutti del sistema che li costringe ad appoggiarsi ai volontari. E, anche se non c’entra niente, mi sento come lo scrutatore di Calvino che andava al Cottolengo nel giorno delle elezioni, per evitare che i preti costringessero tutti i derelitti a votare Democrazia Cristiana.

Vorrei dire, spiegare, chiedere. Rispondere a tutti quei “Se non ci foste voi volontari…”. Vorrei non ci fosse bisogno di me in questo momento. Ma ce n’è. E io qua sto.

La playlist in radio passa a Gil Scott Heron. Io sono ormai arrivato in sede, il servizio di oggi sta per cominciare. Ascolto giusto 10 secondi per rispetto e poi spengo. Andiamo.