Nel 2013 gli spagnoli si giocavano le semifinali della coppa più importante, oggi rischiano la retrocessione in terza serie e, soprattutto, di sparire per sempre. Colpa del disimpegno di Abdullah Al Thani, parente del più danaroso Nasser Al-Khelaïfi, numero uno del PSG, ma anche di una gestione societaria kafkiana. Tra colpi di scena, ricatti a luci rosse, campagne acquisti folli, tifosi inferociti e una storia che rischia di essere cancellata
Si dice che Malaga regali circa 300 giorni di sole l’anno. Eppure, nel cielo sopra La Rosaleda, continuano ad addensarsi soltanto nuvoloni neri. Perché in 7 anni il club blanquiazul è passato dai quarti di finale di Champions (persi contro il Borussia Dortmund) alla retrocessione in Segunda Division e, ora, al concreto rischio estinzione. Colpa di un repentino disimpegno da parte del suo proprietario, lo sceicco Abdullah Al Thani, parente del più danaroso Nasser Al-Khelaïfi, numero uno del PSG, ma anche di una gestione societaria piuttosto sbarazzina. Una caduta libera verso l’oblio che in questa annata ha assunto contorni grotteschi, fra colpi di calciomercato surreali, scandali a luci rosse, figuracce sportive e, soprattutto, il tentativo da parte dei piccoli azionisti di far partire un procedimento penale contro Al Thani per appropriazione indebita e infedeltà patrimoniale. Tutto in un crescendo di colpi di scena, adatto più a una serie tv che a una stagione calcistica.
Tifare Malaga, in questi anni, significa augurarsi di trascorrere un’altra anonima stagione nel purgatorio della B spagnola. Perché il rischio di ritrovarsi chiusi nell’anticamera dell’inferno è diventato più di una semplice ipotesi. Che il futuro era ormai compromesso era chiaro già ad agosto, quando il calciomercato ha consegnato a Victor Sanchez del Amo una squadra incompleta, con un solo portiere e 17 calciatori professionisti su 25. E questo grazie all’accondiscendenza della Federazione, che ha permesso al club di tesserare ben 4 giocatori al minino salariale. Uno di questi, l’algerino Benkhemassa, è stato acquistato senza neanche affidarsi a un report, mentre le offerte per Rodriguez, Mula e Ivan Rodriguez sono state rispedite al mittente fino alla fine del mercato. Solo allora il club ha deciso di spedirli alla società filial per non dover pagare i loro stipendi.
Il trionfo del grottesco, però, è andato in scena con il trasferimento di Okazaki, uno dei protagonisti della favola del Leicester. Il giapponese era arrivato a luglio e aveva disputato qualche amichevole nel precampionato, stabilendo subito un forte rapporto empatico con i tifosi. Poi però il club ha capito di non potersi permettere i 320mila euro del suo stipendio. Pur di restare Okazaki ha deciso di accettare il minimo salariale, ma la trattativa è naufragata per un cavillo: i giocatori che richiedono di essere iscritti con questo regime non possono aver guadagnato più del doppio del minimo salariale (quindi più di 160mila euro) nella stagione precedente. È stato bello, arrivederci. Ovvio, dunque, che la squadra non abbia molte alternative ai titolari. Tanto che nelle 3 giornate disputate senza i nazionali sono arrivate altrettante sconfitte.
Il risultato è un misero quindicesimo posto in classifica e un’eliminazione in Copa del Rey addirittura al primo turno (l’equivalente dei sessantaquattresimi di finale) contro la più che modesta Union Montanesa Escobedo, club di Tercera. Victor Sanchez del Amo è durato fino a gennaio. Poi è stato esonerato. Ma i risultati sportivi non c’entrano (quasi) niente. Il tecnico, infatti, è stato vittima di un’estorsione. O pagava 20mila euro in bitcoin a un soggetto non meglio definito, oppure sarebbe stato lanciato sul web un suo video a luci rosse. L’allenatore ha deciso di non cedere e così, insieme alla diffusione del filmato, è arrivata anche la sospensione da parte del club. Incassata la fiducia da parte dei giocatori, il tecnico pensava di poter tornare in panchina. Invece si è visto recapitare tramite Whatsapp il divieto di mettere piede nel centro sportivo.
Dei risultati, tuttavia, non sembra importare a nessuno. Ci sono problemi più importanti da affrontare. Alla fine del 2019 l’APA, l’Associazione dei Piccoli Azionisti del Malaga CF, denuncia il presidente per appropriazione indebita e infedeltà patrimoniale. Al Thani e i suoi figli maggiori, Nasser, Nayef e Rakan, sono membri del consiglio direttivo e, per ripagare le loro responsabilità, da anni ricevono compenso di 1,44 milioni di euro. Il problema è che secondo la revisione contabile inviata da Ernst e Young a LaLiga, nel corso degli anni le casse del club avrebbero prestato allo sceicco una cifra che a settembre 2019 era quantificabile in 7,3 milioni di euro. E quei soldi non sarebbero ancora stati restituiti. “Al Thani è solito chiedere anticipi di circa 10 o 20 mila euro – ha detto a Radio Marca Antonio Aguilera, presidente dell’Apa – e normalmente queste operazioni vengono effettuate nelle penultima o ultima settimana del mese”. E ancora: “Al club è stato detto che i primi stipendi da pagare devono essere sempre quelli dello sceicco e dei suoi figli”.
La magistratura decide di vederci chiaro. Anche perché alla denuncia si è aggiunto un altro piccolo azionista, che detiene meno dell’1% del club: il Comune. Così la mattina del 22 gennaio la polizia entra negli uffici de La Rosaleda per sequestrare le carte relative ai movimenti economici degli ultimi anni. Passa poco meno di un mese e la magistratura decide di sospendere temporaneamente lo sceicco e i suoi figli dalla gestione del club e nomina un amministratore giudiziario. Fra i suoi compiti ci sono la stesura di un rapporto sulla situazione economica e contabile della società e la compilazione di un inventario del patrimonio del club. Prima, però, è necessario un segnale forte.
Il nuovo amministratore decide di destituire il direttore generale, Richard Shaheen. Il braccio destro di Al Thani annuisce e chiede di essere accompagnato a casa dalla macchina del club. Non gli viene concesso. Così Shaheen è costretto a lasciare La Rosaleda in taxi, fra gli insulti dei tifosi. Ai social manager del Malaga viene imposto di non seguire più i profili della famiglia Al Thani, mentre dal sito del club scompare il nome del presidente. Ma non è finita. La Liga aveva chiesto al Malaga di incassare almeno 2 milioni di euro dalla cessione di giocatori nella finestra di gennaio. Richiesta che era stata disattesa e che aveva reso ancora più difficile la posizione della società: anche un minimo ritardo nei pagamenti avrebbe provocato la retrocessione d’ufficio. Così, il 24 febbraio l’amministratore cede Antonin al Granada per 1,5 milioni. È una boccata d’ossigeno. Mentre circola la voce di una cordata guidata da George Clooney pronta ad acquistare il club, Al Thani afferma che la cessione del calciatore non è regolare, perché priva della sua autorizzazione, e che non c’era nessuna mancanza di liquidità per giustificare un prezzo così basso. La battaglia giudiziaria entra nel vivo.
L’udienza è fissata per le 10 della mattina del 15 aprile. Al Thani rilancia con un comunicato pesantissimo. Afferma che l’amministrazione giudiziaria del club è “illegale, inidonea e sproporzionata, carente di prove concrete, viola diritti fondamentali e crea danni al club”, ma, soprattutto, chiarisce che i prestiti ottenuti dal club sono stati parzialmente rimborsati e il loro ammortamento si sta compiendo secondo le condizioni stabilite, che prevedono un interesse del 7,5, chiaramente molto conveniente per il club. Cinque giorni prima dell’udienza lo sceicco torna a twittare, chiedendo un’indagine internazionale sull’arbitraggio della partita contro il Borussia Dortmund, nei quarti di finale di Champions del 2013. La sua proposta non fa breccia nel cuore dei tifosi. Anche perché lo stesso giorno El Mundo pubblica alcuni stralci del documento messo a punto dagli inquirenti sui conti del Malaga. Secondo il quotidiano, la famiglia Al Thani avrebbe utilizzato i soldi presenti nelle casse del club per comprare un’Audi da 40mila euro, mentre 65mila euro sarebbero serviti per pagare gli affitti delle case dei figli dello sceicco. Nayef y Nasser, poi, avrebbero speso 120.769,03 euro per viaggi personali. Secondo l’accusa, “i membri del Consiglio di Amministrazione o le loro imprese hanno avuto a disposizione una serie di importi pagati dal Malaga per fini personali, che non rispondo né allo scopo sociale né all’interesse della società sportiva”. L’emergenza coronavirus ha fatto slittare l’udienza. Ma al Malaga, ormai, non è rimasto più molto tempo.