La VII Olimpiade, inaugurata il 20 aprile 1920, fu un’edizione lunga cinque mesi che doveva avere il sapore della rinascita per un mondo uscito traumatizzato dalla Grande Guerra e dalle tre ondate di influenza Spagnola tra il 1918 e il 1919. Andò esattamente così e nel calcio si registrò un unicum per una finale olimpica: l'uscita dal campo di un'intera squadra per protestare contro l'arbitro
La bandiera a cinque cerchi, il giuramento degli atleti e il riconoscimento ufficiale del Cio per la partecipazione delle donne. Sono le novità più importanti che accompagnano la VII Olimpiade di Anversa, inaugurata il 20 aprile 1920. Esattamente cento anni fa. Un’edizione lunga cinque mesi (si concluderanno il 12 settembre) che doveva avere il sapore della rinascita per un mondo uscito traumatizzato dalla Grande Guerra e dalle tre ondate di influenza Spagnola tra il 1918 e il 1919.
In Belgio i problemi economici impongono un’organizzazione semplice. Le strutture per gli atleti, gli impianti e le cerimonie sono modeste. Le discipline in programma sono venticinque. Gli atleti circa 2.500. I Paesi in gara ventinove, tra questi non ci sono Germania, Austria, Ungheria, Bulgaria e Turchia, uscite sconfitte dalla Grande Guerra. Troppo alto il rischio di far sfilare in Belgio chi aveva trascinando il mondo nella guerra più grande fino a quel momento combattuta. Il territorio belga era stato infatti uno dei più martoriati della primo conflitto mondiale. Occupato dall’esercito tedesco nel giro di due settimane, il Belgio fu bersaglio di una draconiana occupazione. Ad Aarschot, Andenne, Tamines, Dinant e Lovanio i civili furono uccisi e le case bruciate. Sempre a Lovanio, inoltre, venne data alle fiamme la biblioteca dell’Università Cattolica, con i suoi circa 300mila libri. La propaganda antitedesca parlava apertamente di “stupro del Belgio”.
L’assegnazione olimpica ad Anversa è quindi una sorta di risarcimento simbolico per l’occupazione e i crimini subiti. È l’edizione del ventitreenne finlandese Paavo Nurmi e delle sue quattro medaglie (tre ori e un argento) vinte nell’atletica e dell’italiano Ugo Frigerio, autore di una doppietta nella marcia sui 3 e 10 chilometri. A vincere il medagliere sono ancora una volta gli Stati Uniti, con ben 95 allori. Seconda la Svezia con 64. Eppure le Olimpiadi di Anversa sono ricordate anche per un caso che, ancora oggi, rimane unico nella storia del calcio: l’abbandono del campo di un’intera squadra durante una finale. Nello specifico, quello della Cecoslovacchia. Una nazione che solo un anno prima nemmeno esisteva.
È il 2 settembre. Il torneo di calcio è iniziato da cinque giorni. Quindici le squadre che si sono presente al via. A raggiungere l’ultimo atto sono i padroni di casa del Belgio e la Cecoslovacchia del centrocampista Karel Pesek-Kada, uno dei primi grandi giocatori dell’est europeo e già bronzo nell’hockey su ghiaccio in quella stessa edizione olimpica. Arbitro è l’inglese John Lewis. Per il Belgio e i suoi tifosi il calcio diventa il mezzo attraverso cui trovare una rivincita sulle sofferenze patite durante la Grande Guerra. La già tesa atmosfera della vigilia viene resa ancora più rovente da alcuni giornali che descrivevano, erroneamente, la Cecoslovacchia come una delle nazioni responsabili della guerra.
Per infiammare ulteriormente gli animi degli oltre 35mila dello stadio olimpico di Anversa bastano appena sei minuti di gioco. Una pericolosa azione offensiva del Belgio è stata appena neutralizzata. Le cronache dell’epoca raccontano che il portiere cecoslovacco Klapka viene spinto violentemente, cade a terra e perde la sfera dalle sue mani. Questa rotola in fondo alla rete e viene raccolta con le mani da un difensore cecoslovacco. Per Lewis è calcio di rigore per il Belgio. Le proteste cecoslovacche sono vibranti. Ad essere contestata è la carica sul portiere che però l’arbitro inglese non ravvisa. La calma viene faticosamente riportata e l’attaccante belga Coppee trasforma il tiro dagli undici metri: uno a zero. Il gioco si fa più duro, ma questo non ferma la squadra di casa, trascinata da un pubblico sempre più accanito sugli spalti. Alla mezz’ora il Belgio trova il raddoppio con Larnoe. Non è ancora finito il primo tempo eppure sembra tutto deciso, con il Belgio in totale controllo e la Cecoslovacchia sempre più nervosa e incapace di reagire. Poi arriva il cartellino rosso che rende una finale come tante, un precedente unico nella storia del gioco.
Mancano sei minuti dall’intervallo quando l’attaccante belga Coppee viene atterrato dal difensore Steiner. Il contatto c’è ma la caduta del belga è fin troppo plateale. Lewis sceglie per l’espulsione. Steiner, però, non è il solo a lasciare il campo. Insieme al terzino sinistro esce anche Pesek-Kada, in aperta protesta contro il fischietto inglese. Quella del centrocampista è una presa di posizione forte e senza precedenti che lascia il segno. Uno a uno anche gli altri nove giocatori ospiti abbandonano il rettangolo di gioco. Sugli spalti la tensione diventa insostenibile. Gli spettatori invadono il campo. Alcuni tifosi portano in trionfo i giocatori belgi, altri vanno all’inseguimento degli avversari, i quali riescono a raggiungere gli spogliatoi solo grazie alla protezione dei militari addetti alla sicurezza.
I belgi vengono proclamati vincitori. Per assegnazione delle medaglie di argento e di bronzo l’organizzazione olimpica decide per una serie di sfide con protagoniste due delle quattro perdenti dei quarti e le due perdenti delle semifinali. giocare una finale per il secondo e terzo posto. La Francia, battuta in semifinale dalla Cecoslovacchia, si rifiuta però di scendere in campo. Tocca alla Spagna, la più forte delle perdenti dei quarti, affrontare l’Olanda. E saranno proprio gli spagnoli ad aggiudicarsi la medaglia d’argento. Per i cecoslovacchi vengono invece squalificati per condotta antisportiva.