Il caso più famoso è quello di Li Wenliang, il medico di Wuhan che aveva dato per primo l’allarme sulla diffusione del coronavirus, ma era stato censurato e minacciato dalla polizia cinese. Ma diversi situazioni simili si sono verificati negli Stati Uniti, mentre in Italia poco più di un mese fa l’assessore leghista della Sardegna, Mario Nieddu, ha chiesto ai direttori delle aziende sanitarie di predisporre “provvedimenti disciplinari” per gli operatori che avessero parlato senza autorizzazione con la stampa e su internet. Sono alcune delle segnalazioni di The Good Lobby nel promuovere l’appello – a cui hanno aderito più di 90 organizzazioni a livello mondiale – in cui “richiamiamo l’attenzione e l’importanza rispetto alla protezione dei whistleblower che hanno segnalato, o segnalano, illeciti relativi al Covid-19”, spiega Priscilla Robledo, rappresentante per l’Italia dell’organizzazione non profit.
L’appello nasce dai timori crescenti che i diritti civili, in particolare quelli di parola e informazione, vengano compressi in un periodo di emergenza come questo, nonostante siano spesso cruciali per individuare situazioni critiche: “Datori di lavoro e governi stanno mettendo a tacere i loro ‘sistemi di allarme’, quali sono appunto le segnalazioni da whistleblowing, che hanno diversi pregi, primo fra tutti quello della tempestività, cosa che in una situazione di emergenza sanitaria è cruciale”, osserva Robledo.
Per The Good Lobby Italia, alcune delle più importanti aree di rischio per la tutela dei whistleblower riguardano il sistema sanitario, gli appalti pubblici, le violazioni delle norme di sicurezza sul lavoro, le filiere internazionali ineguali e impreparate, le pratiche di concorrenza sleale e gli abusi di mercato. L’organizzazione sottolinea come in Italia, con il decreto Cura Italia varato lo scorso 17 marzo, sia stato sospeso fino al 31 maggio l’accesso a atti e documenti della Pubblica Amministrazione. Anche per questo, spiega Robledo, è importante vigilare “sull’operatività delle leggi a tutela dei whistleblower”.
In diversi Paesi sono già emersi casi di censura e di ritorsioni nei confronti di whistleblower che hanno anche solo denunciato carenze relative all’emergenza coronavirus. Fa da esempio per tutti la storia di Li Wenliang, morto di Covid-19 aver lanciato per primo l’allarme su alcune polmoniti sospette con un post su Facebook. Per quella segnalazione aveva ricevuto minacce dalla stessa polizia e non era stato creduto. Sempre in Cina, anche la dottoressa Ai Fen dell’Ospedale Centrale di Wuhan è stata tra le prime ad avvertire del coronavirus. Ai Fen da inizio aprile risulta scomparsa.
Anche negli Stati Uniti sono stati segnalati diversi casi. Ming Lin, un medico del pronto soccorso a Seattle, è stato licenziato perché ha rilasciato un’intervista a un giornale dichiarando che i dispositivi di protezione e i test a loro disposizione erano inadeguati. The Good Lobby segnalo anche un caso analogo a Chicago dove Lauri Mazukiewicz, infermiera, è stata licenziata dal Northwestern Memorial Hospital dopo aver chiesto pubblicamente di poter indossare una maschera più protettiva mentre era in servizio, in quanto sofferente d’asma e necessitata ad assistere il padre malato. Senza dimenticare quanto accaduto a Kenisa Barkai, infermiera del Sinai Hospital di Detroit, licenziata dopo avere lamentato internamente la carenza di personale medico e di dispositivi di protezione sanitaria nel suo ospedale. Altre segnalazioni arrivano dal Regno Unito e dalla Polonia.
In Italia, invece, il caso più noto riguarda la comunicazione ad Assl e Aou della Sardegna firmata il 13 marzo scorso dall’assessore alla Sanità Mario Nieddu (Lega) in cui ricordava come l’unica a poter comunicare con la popolazione, tramite tv, stampa ma anche social network, fosse la Regione. Per i medici e gli operatori sanitari che non si fossero attenuti a questa regola “si chiede di avviare, senza indugio, opportuni provvedimenti disciplinari”, scrive Nieddu.
Alla luce dei primi casi emersi, commenta Robledo, “è dunque fondamentale intercettare il prima possibile queste prevaricazioni e opporvisi, nell’interesse pubblico. Imbavagliare chi ci avverte dei pericoli che stiamo attraversando è già di sé un allarme per la salute e la sicurezza pubblica e, se pensiamo ai rischi per la collettività da cui i whistleblower per definizione mettono in guardia, ciò potrebbe trasformare la pandemia nel periodo più nero della storia contemporanea e mondiale dei diritti civili”, conclude la rappresentante per l’Italia dell’organizzazione non profit.