In uno stato come l’Iran dove ogni anno, seppure in calo, si eseguono centinaia di condanne a morte, la notizia dell’impiccagione di Mustafa Salimi avrebbe potuto passare quasi inosservata. Invece, è una storiaccia che rischia di mettere in forte imbarazzo il Governo regionale curdo dell’Iraq.
Alle sue forze di sicurezza Salimi, 53 anni, un passato da militante del Partito democratico del Kurdistan iraniano e poi criminale comune, si era rivolto per chiedere asilo dopo che il 27 marzo era riuscito a evadere dal carcere iraniano di Saqqez, per il timore del contagio da Covid-19, insieme a una settantina di prigionieri.
Salimi era riuscito a superare il confine ed era arrivato nella città curda irachena di Penjwin, dove era stato fermato da agenti dei servizi di sicurezza, gli asayish. Li ha supplicati di non rimandarlo in Iran, dove lo attendeva una condanna a morte emessa nel 2003 per rapina a mano armata. Invece, è esattamente quanto è successo, la mattina dell’11 aprile: una palese violazione del principio di non respingimento, un caposaldo del diritto internazionale che vieta di rimandare una persona indietro verso un paese qualora rischi di subire gravi violazioni dei suoi diritti.
Salimi è entrato irregolarmente in territorio curdo iracheno. Chi lo ha arrestato avrebbe dovuto portarlo di fronte a un giudice e solo quest’ultimo avrebbe dovuto prendere una decisione, tenendo conto della condanna a morte che pendeva sul capo di Salimi e che questi aveva immediatamente chiesto asilo politico. Ai sensi dell’articolo 21 della Costituzione irachena, ne avrebbe avuto diritto.
Inizialmente le autorità locali hanno scelto la linea del diniego totale. Poi Diya Butros, direttore dell’Ufficio indipendente per i diritti umani della regione curda, ha parlato col procuratore di Penjwin, il quale ha confermato che Salimi era entrato in territorio curdo e che era stato restituito alle forze iraniane. Allora la versione è cambiata: “Non siamo a conoscenza del caso, se è successo qualcosa è stato a nostra insaputa. Il primo ministro ha istituito una commissione d’inchiesta per capire se e cosa sia successo. Vi terremo informati”, ha dichiarato Jutyar Adil Mahmood, portavoce del governo.
Siccome gli asayish sono una struttura di stato a tutti gli effetti, sotto il controllo di uno dei due principali partiti della regione curda irachena, la domanda è: hanno agito da soli o su indicazioni del Governo regionale curdo?