Venerdì 21 febbraio 2020: un risveglio che non dimenticheremo mai. La notizia che a 3 km dalle nostre case, all’ospedale di Codogno, era stato diagnosticato il primo caso di Coronavirus sul territorio nazionale, su un 38enne molto conosciuto, ha travolto tutta la nostra comunità. Uno choc. Siamo stati i primi, in Italia, a conoscere l’esperienza della quarantena. Poi ci sarebbero arrivati progressivamente anche gli altri, dopo un paio di settimane: ma intanto, in quei giorni, eravamo visti e trattati un po’ come degli extraterrestri. Ci chiamavano, ci chiedevano come stavamo. Noi eravamo molto preoccupati, certo, ma non riuscivamo a capire perché quelli fuori non si preoccupassero altrettanto per se stessi: viviamo in paesini, certo, ma tutt’altro che isolati, siamo al centro dell’attiva e produttiva Pianura Padana, centinaia di persone del Basso Lodigiano lavorano o studiano nelle province limitrofe. Si andava lontano da casa per assistere a eventi sportivi, per andare al cinema, per fare compere, per le vacanze o per ricongiungersi con i propri familiari. Non poteva essere solo un problema nostro. E oggi? Oggi, due mesi dopo, siamo ancora qui, questa volta tutti insieme, chiusi in casa.

Due mesi fa, il 21 febbraio, eravamo spaventatissimi ma fiduciosi: sembrava che ci saremmo dovuti sacrificare noi per il resto d’Italia, chiuderci in casa solo per un paio di settimane. E poi, se tutti avessero osservato le disposizioni, saremmo potuti tornare alla normalità. E invece… il 21 aprile ci ritroviamo meno spaventati, sì, perché i dati ci dicono che i contagi sono calati drasticamente (siamo sempre vicinissimi allo zero); ma anche meno fiduciosi. La normalità non è ancora dietro l’angolo e comunque sarà una normalità diversa. Certo non viviamo più un isolamento totale, come all’inizio. Progressivamente ho visto molti dei miei vicini uscire presto la mattina per andare a lavorare; alcuni negozi del paese riaprire, solo per le consegne a domicilio; e poi la capacità e la volontà di chi è stato costretto ad adattarsi alla nuova situazione per non fermarsi (le video lezioni delle palestre chiuse al pubblico, le prestazioni fornite da numerosi professionisti grazie al web).

Ma le scuole sono chiuse e non sappiamo ancora quando riapriranno. Si esce di casa esclusivamente per le urgenze, con autocertificazione. Non vediamo, se non in video chat, tutti i nostri affetti più cari. E poi ci sono i nostri bambini. Che avrebbero davvero tanto bisogno di uscire, correre, giocare con i loro amichetti. E invece, già alla scuola materna, si accontentano una volta alla settimana della video chat organizzata dalle maestre con i compagni di classe. Rivedersi, comunque, è sempre emozionante. Se all’inizio per loro stare sempre a casa con mamma e papà era semplicemente fantastico, adesso con maggior frequenza mi chiedono: “Ma quando va via il virus?”, “Quando posso invitare a casa mia i miei amici?”. Con una crescente angoscia vedo sui social che vengono pubblicizzate sempre di più le mascherine per bambini… Colorate, lavabili. L’idea che il futuro dei miei figli sia con la mascherina mi manda fuori di testa.

Del resto, nella classifica degli annunci alla cittadinanza più attesi da noi adulti, al primo posto ci sono i comunicati del sindaco su date e orari della distribuzione ai cittadini delle mascherine. Devo dire che abbiamo fatto passi da gigante: se le prime volte bisognava fare lunghe file presso il centro operativo della protezione civile di Casalpusterlengo, ora la distribuzione avviene per quartiere, in modo da creare meno assembramenti possibili. L’esperienza ci ha insegnato tante cose, soprattutto ha sensibilizzato il nostro senso civico. La maggior parte delle persone non si lamenta per i cambiamenti che rendono più scomodi la nostra quotidianità: anzi, apprezza quando si fanno sforzi per tutelare la salute di tutti. I rari casi di individui che ancora mostrano insofferenza per le file fuori dai supermercati, che magari vorrebbero fare i furbi per velocizzare le lunghe attese, vengono subito rimessi in riga dal buonsenso della maggioranza.

Questi sono giorni importanti per la ex Zona Rossa, fortunatamente perché stanno iniziando i controlli sul plasma della popolazione del Basso Lodigiano. Mio marito, donatore Avis, oggi (martedì) va in ospedale a Codogno per il prelievo anticorpale. Devo dire che sono un po’ emozionata, agitata, a riguardo: a parte che un membro della nostra famiglia non fa un viaggio così lungo da due mesi (da Casale a Codogno, 3 km!). Ma il responso dell’esame sul suo plasma ci dirà se lui (e quindi con molta probabilità anche io e i miei figli) è stato contagiato dal Coronavirus. Se tutta la nostra famiglia ha avuto il Covid-19, senza saperlo: insomma, quanto siamo stati fortunati.

Dopo due mesi, qui a Casalpusterlengo, iniziano a circolare le proposte per la creazione di un monumento in memoria delle vittime del Coronavirus. Per non dimenticare. Forse è il segno che, nonostante tutte le incertezze sul futuro, nonostante le ferite per le gravi perdite brucino ancora tantissimo, ci stiamo preparando a pensare al dopo Coronavirus.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Ponte crollato ad Aulla, bisogna capire in tempo utile il valore di un’opera. Non quando è caduta

next
Articolo Successivo

Coronavirus, l’uomo arretra ma la natura si riprende i suoi spazi. E ci dà un suggerimento

next