Agenti dell’intelligence cinese avrebbero alimentato da marzo una campagna di disinformazione sui social e via sms, mirata a diffondere il panico negli Stati Uniti per il coronavirus. Le tecniche usate non sono dissimili da quelle utilizzate dalla Russia per influenzare le elezioni presidenziali del 2016. Lo sostiene il New York Times, citando fonti di sei diverse agenzie d’intelligence Usa. L’obiettivo, però, non sono solo gli Stati Uniti: secondo la testata americana, Pechino ha dato direttive precise per una campagna globale. L’Europa, infatti, è stata investita da messaggi che enfatizzavano da un lato le divisioni dei paesi membri di fronte all’emergenza, e dall’altro l’importanza degli aiuti inviati dalla Cina.
Il Nyt sostiene che la Cina ha dato il via a un’operazione di disinformazione negli Stati Uniti facendo arrivare messaggi di allarme direttamente sui cellulari degli utenti attraverso account falsi: utilizzata prevalentemente WhatsApp, perché è più difficile tracciare da dove arrivi il messaggio.
Tra le false notizie citate dal quotidiano americano, c’è quella diffusa a metà marzo, secondo cui il presidente americano Donald Trump avrebbe blindato l’intero Paese “una volta dispiegati i militari nelle strade per evitare saccheggi e disordini”. Un avviso che il Dipartimento per la Sicurezza nazionale è stato costretto a smentire, dopo che era arrivato a milioni di cittadini. Un altro messaggio falso fatto circolare in precedenza, questa volta da fonti ufficiali cinesi, è stato quello sulla possibile origine dell’epidemia nei soldati americani che a ottobre avevano partecipato a Wuhan ai Giochi militari.
L’intelligence Usa sta comunque indagando sul possibile coinvolgimento di diplomatici o dipendenti delle testate ufficiali cinesi. Lo scorso settembre, il Dipartimento di Stato ha espulso, senza darne notizia, due dipendenti dell’ambasciata cinese a Washington accusati di spionaggio.
“Pechino e Mosca stanno operando per incidere sull’ambiente globale dell’informazione sia in modo indipendente che insieme, attraverso una ampia gamma di strumenti digitali – ha testimoniato Kristine Lee, del Center for New American Security, in una intervista al New York Times – Hanno istituito diversi canali diplomatici e forum attraverso cui scambiarsi informazioni sulle pratiche in uso”.