Infine resta da analizzare come è stata trattata la correlazione clima, degrado ambientale e virus. Innanzitutto un appunto riguardante l’influenza meteo-climatica. È stato più volte ovunque chiarito che “non esistono evidenze scientifiche che esporsi al sole, o vivere in Paesi a clima caldo, prevenga l’infezione da nuovo coronavirus (Ministero della Salute)“.

Sono reperibili tuttavia alcuni studi “osservazionali” che ipotizzano che il Covid-19 preferisca un clima fresco e asciutto rispetto a Paesi con clima caldo e umido, ma che come si diceva prima non hanno sufficiente validazione scientifica. Ma questo ci dice appunto: aspettiamo, valutiamo se potrebbe esserci una correlazione, ma per ora teniamola solo come indicazione preliminare.

Sono invece comprovati da studi decennali i casi di circolazione di nuovi virus per zoonosi a causa del degrado ambientale. “Esistono vari studi, convalidati da revisione, che mostrano come ad esempio il traffico di specie protette o l’allevamento intensivo di bestiame a ridosso di zone naturali in ambienti tropicali, magari con foreste naturali ricche di specie selvatiche sono chiari fattori di rischio, spiega Moreno Di Marco, ricercatore de La Sapienza di Roma che ha pubblicato una mezza dozzina di articoli scientifici sul tema incluso PloS (Public Library of Science). “Sono questi i temi su ci si deve concentrare ora, per andare a ridurre il rischio”.

Da ultimo la crisi climatica, che non ha una correlazione diretta con il Covid-19, influisce pesantemente sulla biodiversità. Ma ancor di più sui rischi sulla salute dell’uomo. E sorprende come nonostante le migliaia di studi, verificati e riverificati, ancora non si stia facendo abbastanza.

“La mole imponente delle ricerche pubblicate negli ultimi 30 anni sottolinea l’assoluta gravità del fenomeno” spiega Serena Giacomin. “C’è chiara evidenza in numerosi studi di aumento della mortalità diretta (ondate di calore e rischi legati a fenomeni meteo estremi) e indiretta (diffusione di epidemie, aumento della povertà), con decessi che si calcoleranno in milioni di vite perse nel corso di una decade”.

Quanto sta accadendo con il coronavirus ci sta facendo riscoprire l’importanza di una corretta comunicazione scientifica, per non creare false speranze e capire quali sono i veri allarmi da seguire. Ricordiamocelo bene mentre lavoreremo per rilanciare l’economia. Attenzione a non comunicare con troppa fretta, altrimenti il danno degli articoli scritti male sarà identico a quello delle fake news. E più difficilmente si potrà creare uno spazio di dibattito sereno che possa creare azione concreta per contenere rischi presenti e futuri.

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