“Il nostro è un grido di dolore, ci siamo sentiti attaccati dai media: abbiamo perfino letto su un quotidiano che i ‘poveri vecchi muoiono per profitto’… Per un mese nessuno ha parlato di Rsa, adesso ne parlano tutti, bisognava pensarci prima”. La dottoressa Irene Pellicioli, della Fondazione Castellini di Melegnano, contestualizza così la lettera aperta che nei giorni scorsi ha firmato con i suoi colleghi. Tutti in forze alla Residenza sanitaria assistenziale da 365 posti letto che, nella cittadina alle porte di Milano, ha raccolto l’eredità della Casa della Provvidenza per poveri Vecchi di fine 800.

“Tutti si sono dimenticati di noi, salvo accorgersene adesso che, chissà come mai, molti anziani sono deceduti nelle Rsa? Dov’erano le istituzioni quando chiedevamo tamponi che non ci venivano dati se non col contagocce? Dov’erano le istituzioni quando i nostri impiegati dell’ufficio acquisti spasmodicamente cercavano di procurare per noi mascherine e dispositivi di protezione introvabili? – si legge nel testo – Dov’erano quando gli ordini fatti non andavano a buon fine, perché il materiale veniva bloccato per essere destinato agli ospedali? Dov’erano quando nelle riunioni ci dovevamo preoccupare di come gestire l’emergenza qualora i dispositivi non fossero arrivati o bastati? Dov’erano le istituzioni quando sono scoppiati focolai nei nostri reparti e siamo stati lasciati soli a gestire la “nostra” emergenza?”, si chiedono i medici della Castellini che citano la delibera della Regione del 30 marzo con cui le porte degli ospedali lombardi sono state chiuse agli ospiti delle Rsa.

Eppure, si chiedono ancora i medici della Fondazione Castellini che da inizio emergenza ha contato 45 decessi e 119 ospiti con sintomi riferibili a Covid-19, “ora sentiamo che si aprono fascicoli in Procura, sentiamo che arriveranno i Nas a controllare cosa succede in Rsa. Ma se davvero le istituzioni pensano che in Rsa si lavori così male, perché invece di avviare indagini (che certamente si svolgeranno sulla carta e a pandemia conclusa) non hanno pensato di venire adesso a vedere con i loro occhi come vengono curate le persone da noi? Perché non hanno pensato di mandarci consulenti infettivologi e fornirci formazione specifica?”, è la recriminazione.

“Siamo stanchi per il duro lavoro e mortificati per la scarsa considerazione, impegnati ogni giorno non solo sui pazienti ma anche a rassicurare, per quanto possibile, i loro familiari, cercando di riconquistare una fiducia guadagnata in anni di onorato servizio e demolita in un’ora di servizi giornalisti sulla presunta malpractice in Rsa. E, naturalmente, anche noi abbiamo paura di ammalarci”, conclude la lettera.

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