“La profondità della crisi impone un vero progetto di ricostruzione, un nuovo piano Marshall”. Parla così, in un’intervista al Corriere della Sera, il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, a poche ore dal Consiglio europeo di stasera con il quale i 27 capi di Stato e di Governo cercheranno di trovare un accordo sui provvedimenti economici da intraprendere per il contrasto alla pandemia di coronavirus. Sul tavolo i tre pilastri (Sure, Mes e Bei) e la quarta strada, per la quale però ci sarà bisogno di più tempo per concordare le regole, del Recovery Fund.
“Quello di oggi – spiega Sassoli – è un Consiglio europeo importante. Si apre la partita decisiva, quella che riguarda la ricostruzione delle economie dopo la pandemia. Per l’emergenza abbiamo un ampio ventaglio di fondi e prestiti che sono già rilevanti. Ma la profondità della crisi impone un vero progetto di ricostruzione, un nuovo Piano Marshall, che a differenza di quello del Dopoguerra dev’essere finanziato dagli stessi europei”. E la linea sposata dal presidente del Parlamento Ue è quella del Recovery Fund, sul quale c’è un accordo di massima tra gli Stati membri, che però deve essere finanziato dal prossimo Bilancio settennale dell’Ue 2021-2027.
“L’idea degli ultimi giorni – continua -, che ha allentato molte tensioni, è di procedere con un Recovery Fund legato al Bilancio dell’Unione e in grado di finanziarsi sul mercato, con l’emissione di obbligazioni, cioè di titoli comuni. Questo va nella direzione di un’Europa solidale che condivide il peso della crisi. Questa catastrofe ha colpito tutti in modo simmetrico, non possiamo rischiare di uscirne con Paesi più danneggiati degli altri”.
“Il Consiglio – aggiunge – dovrebbe dare mandato alla Commissione di formulare in tempi rapidi una proposta in questo senso. La previsione è di avere a disposizione oltre 1.500 miliardi di euro, una cifra enorme che può essere garantita con l’emissione di bond. A me pare che ora ci siano maggiori convergenze tra Paesi del Nord e quelli più colpiti dalla crisi. Esiste la possibilità concreta di mettere a disposizione sia prestiti che finanziamenti a fondo perduto per quegli Stati membri che soffrono di più”.
Alla domanda se ritiene quindi inutile per l’Italia insistere sugli Eurobond, risponde: “A me pare che il principio sia stato acquisito. I bond saranno uno strumento per finanziarie il piano di ricostruzione e come garanzia avranno il bilancio pluriennale dell’Ue. Saranno i bond più attraenti della scena internazionale”.
Dunque, secondo Sassoli, gli aiuti ci saranno e saranno consistenti ma avverte: “Sarebbe inconcepibile che stanziamenti di questa portata non trovassero una loro collocazione. Quindi in attesa che il Recovery Fund si materializzi, sarebbe bene che i Paesi si attrezzassero per essere capaci di spendere“. L’Italia deve “prepararsi pianificando la spesa. Anche con aggiustamenti, rivedendo, correggendo o razionalizzando le procedure, il codice degli appalti, i meccanismi burocratici che spesso impediscono o rallentano l’accesso alle risorse europee. Non è solo un problema dell’Amministrazione pubblica, centrale o regionale, ma anche di quelle private. Il sistema bancario per esempio deve semplificare la propria burocrazia”.
Uno dei punti di discussione tra gli Stati riguardante il Recovery Fund riguarda però l’obbligo o meno del cofinanziamento per lo Stato che riceve le risorse, cosa che i Paesi più colpiti come Italia e Spagna vogliono evitare: “Nel Recovery Fund ci sono due modalità, i prestiti e i grants, cioè i finanziamenti a fondo perduto – continua Sassoli – Se dovranno esserci co-finanziamenti statali si vedrà. Ricordo che l’ultimo pacchetto approvato dal Parlamento ha previsto la soppressione dei cofinanziamenti nei fondi di coesione per il 2020. Ma qui si apre una grande questione, che deve preoccuparci tutti. Abbiamo bisogno di Paesi che siano pronti a spendere i soldi che arrivano. Sarebbe inconcepibile che stanziamenti di questa portata non trovassero una loro collocazione”, come accade con i fondi Ue destinati annualmente ai singoli settori.
Sassoli ha infine parlato dell’ipotesi di ricorrere al fondo salva-Stati, il cosiddetto Mes, senza condizionalità: “Il Mes è una cassa prestiti. Non è più il vecchio salva-Stati, nel nuovo regolamento sarà chiaro che non ci sono condizionalità diverse dalla destinazione per spese sanitarie dirette e indirette legate alla lotta al coronavirus. Avrà un tasso molto favorevole, in media dello 0,30%. Può essere conveniente“. A chi, come Lega e Fratelli d’Italia, ma anche il Movimento 5 stelle, sostiene che il ricorso al Mes potrebbe nascondere la reintroduzione delle condizionalità in una seconda fase Sassoli risponde: “Non è vero. Chi prende quei soldi, con la sola condizione della destinazione d’uso, li restituirà al tasso e nei tempi concordati. L’altra linea, quella salva-Stati, non può influire in alcun modo sui criteri o le condizioni di elargizione del nuovo strumento, che sarà il primo operativo dai primi di maggio. Anzi, ci sono Paesi che si sono già prenotati”.