Il Tribunale di Sorveglianza di Milano si è trovato ieri a dover spiegare – verrebbe da dire a dover giustificare – il proprio operato attraverso un comunicato stampa. I fatti si riferiscono alla concessione della detenzione domiciliare a Francesco Bonura, detenuto per reati di mafia. Con la scusa del coronavirus, è stato infatti detto, si fanno uscire i boss mafiosi. Il comunicato spiega che il provvedimento è stato adottato “secondo la normativa ordinaria applicabile a tutti i detenuti, anche condannati per reati gravissimi, a tutela dei diritti costituzionali alla salute”.

Bonura ha 78 anni e ha serie patologie oncologiche e cardiorespiratorie. La normativa ordinaria, quella che applichiamo in Italia da decenni e decenni, permette a chi si trova in queste condizioni di uscire dal carcere per andare a chiudersi in un luogo le cure possano essere più accessibili. Nulla c’entra il coronavirus con questa norma.

I giudici di Milano spiegano che Bonura sarebbe comunque uscito per fine pena tra meno di undici mesi. Se si tratta di un pericoloso capomafia che tornerà ad agire sul territorio pur nelle sue condizioni di salute, tra meno di undici mesi potrà farlo indisturbato. Sarà quella l’ora di preoccuparci, dunque. Adesso, infatti, il provvedimento del Tribunale si limita a chiuderlo dentro casa, con serrati controlli (“sono state preventivamente acquisite informazioni di Polizia che garantiscono l’idoneità del domicilio, sottoposto ad assiduo controllo delle Forze di Polizia nel rispetto delle stringenti prescrizioni che impediscono qualsiasi uscita non autorizzata”).

Le affermazioni di chi ha paventato rischi gravi per la lotta alla mafia non credo facciano bene alla verità. Penso ad esempio a quelle rilasciate a questo giornale dal magistrato consigliere del Csm Nino Di Matteo, il quale non accenna al fatto che Bonura tra pochi mesi sarà comunque libero, che avrà finito di scontare la sua pena, né accenna alle sue gravi condizioni di salute che sicuramente lo rendono meno capace di agire.

Dice invece che la sua scarcerazione è un “segnale tremendo” e che non vorrebbe che “questo Paese stesse dimenticando definitivamente la lunga stagione della trattativa Stato-mafia che corse parallelamente” alle stragi mafiose. Afferma anche che tale segnale “rischia di apparire come un cedimento dello Stato di fronte al ricatto delle organizzazioni criminali che si è concretizzato con le violenze, le proteste delle settimane scorse nelle carceri di tutta Italia”.

Ma queste affermazioni mi paiono sganciate dai dati di fatto e dalla verità della situazione discussa. Innanzitutto si parla delle rivolte carcerarie di marzo come se fosse pacifico che siano state messe in atto dalle organizzazioni criminali, circostanza non ancora dimostrata e da molti esperti contestata (almeno nella forma di immaginare che la criminalità organizzata abbia avuto un ruolo nel dare il via ai disordini e non solamente nel cavalcarli una volta iniziati). In secondo luogo si dice che il provvedimento di detenzione domiciliare di Bonura sarebbe un indice di dimenticanza delle stragi mafiose da parte dei magistrati di sorveglianza milanesi. Ma la lotta alla mafia è una cosa così importante e qualificante per un Paese come l’Italia che non può essere messa in discussione dal fatto che un detenuto sconterà chiuso in casa sotto controllo di polizia piuttosto che in carcere gli ultimi undici mesi di pena per motivi di salute, in totale aderenza alla normativa in vigore.

In argomenti così sensibili per l’opinione pubblica, è importante mantenere sobrietà e aderenza ai fatti. Dovrebbero farlo tutti. Certi giornalisti, che ci trasmettono le informazioni e gestiscono un enorme potere. E ancora di più chi rappresenta la magistratura e la governa. Screditarla facendo passare chi applica le norme per uno smemorato sulle stragi mafiose è molto pericoloso.

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