Dal 21 aprile anche il ministero dell’Istruzione ha il suo Comitato di esperti: si occuperanno della ripresa settembrina e della redazione di un Piano scuola utile a disegnare il futuro, dalle tecnologie all’edilizia. Sorgono dubbi sul prodotto futuro del Comitato non per riserve sulla qualità dei professionisti convocati, ma perché senza una linea, una visione, diventa difficile per chiunque produrre cambiamenti e risultati all’altezza delle aspettative.

La quarantena ha sottoposto la scuola a uno stress notevole, imponendo un balzo in avanti incredibile, prova diretta della qualità e dell’impegno sempre alto del personale scolastico. Lo stress ha anche messo in luce alcune questioni che frenano e rischiano di vanificare tutto il buono fin qui fatto a favore di uno sciagurato “ritorno alla normalità”. Eccone alcune.

Il registro elettronico. Oramai tutte le scuole d’Italia lo utilizzano, naturalmente ciascun istituto si è scelto il fornitore che preferiva. Un registro elettronico unico non c’è, ad eccezione di Trento che lo fornisce gratis alle scuole della provincia. Il registro elettronico, oltre che strumento di lavoro dei docenti, sarebbe anche un potentissimo strumento per raggiungere just in time tutte le componenti della scuola.

Già, ospita i riferimenti dei docenti, degli studenti e delle loro famiglie, le valutazioni, le lezioni eseguite, i test di verifica e molte altre attività che insieme fanno la scuola; è una formidabile banca dati che mette a disposizione, in modo aggiornato, i contatti e i riferimenti di tutti. L’aggiornamento dei dati è continuo, lo fanno le segreterie delle scuole.

Il ministero ha l’accesso a questa enorme mole di dati che permetterebbe una comunicazione immediata con le fasce di popolazione scolastica interessate a progetti, proposte o rilevazioni? Ovviamente, no, non ha neanche mai definito il format con cui i fornitori delle scuole debbono raccogliere e ordinare i dati, così da renderli immediatamente disponibili e assimilabili a richiesta di un ente superiore.

Mai come adesso, un registro elettronico, che permetta l’esportazione dei dati in formato standardizzato, sarebbe stato utilissimo a compattare il mondo della scuola, a sondare il reale andamento dei programmi alternativi di istruzione, a capire quanti insegnanti si sono ingegnati a usare il web per continuare il loro lavoro e come l’hanno fatto; a sondare famiglie, studenti e docenti relativamente a qualunque aspetto fra i tanti in discussione in questi giorni. Gli esperti ministeriali avrebbero potuto interpellare in tempo reale l’utenza della scuola, per coglierne l’umore, i desideri. Si può fare adesso, i fornitori sono pochi e facilmente coinvolgibili.

La didattica a distanza. Dopo due mesi di scuole chiuse è ormai evidente che non esiste scuola senza fisicità, senza costruzione d’insieme e senza interazione continua. Da confinati esiste la possibilità di insegnare/apprendere contenuti che alla lunga però necessitano di interazione diretta. Da qui la stanchezza di questi ultimi giorni e il distacco progressivo dalla ritualità della classe, ancora viva nella prima parte della quarantena. Torniamo a scoprire l’importanza della scuola come ambiente di corrispondenza, scambio, costruzione di relazioni e di personalità.

La stanchezza è accentuata da bizzarrie spacciate per autonomia: realtà in cui ogni docente sceglie piattaforme e software diverse dai colleghi, costringendo allievi e famiglie a una corsa continua a imparare le istruzioni sempre diverse. Dirigenti e docenti che interpretano la didattica a distanza come somministrazione di compiti, preceduti da esercizi e video, a cui far seguire verifiche: una volta la settimana arriva la dose che deve essere eseguita, fotografata e rimandata agli insegnanti. Altri invece che curano la didattica con saggezza e attenzione a costruire qualcosa di solido per il futuro, dal punto di vista dei saperi e da quello del servizio offerto alla famiglia e allo studente. E lavorano come pazzi.

L’e-learning diventerà parte integrante dell’offerta formativa: per cominciare, scegliere una piattaforma e formare i docenti affinché imparino a usarla al meglio, costruire un archivio di lezioni, prove di verifica, strumenti di apprendimento, cosicché non si debba sempre cominciare daccapo.

I libri di testo. La quarantena ha definitivamente seppellito l’idea che un libro di testo debba essere pesante, pieno di foto e di “approfondimenti” di solito ignorati. Da almeno 10 anni si sperimentano tablet e e-reader che possono contenere manuali, appunti di lezioni forniti dal docente e buona parte del materiale cartaceo oggi a corredo dell’attività scolastica. Non servono più i libri pieni di fotografie quando possono essere viste, ingrandite, ridotte aprendo il link corrispondente.

Servono ancora manuali cartacei succinti e magri, nei quali il testo e gli schemi la facciano da padrone. Anche in questo caso, non si parte da zero: utili e interessanti sperimentazioni hanno già cambiato le cose in parecchi istituti, soprattutto nella scuola secondaria.

E poi l’accesso universale al web, la possibilità di intervenire efficacemente a distanza con gli allievi con difficoltà e tante altre cose interessanti che si possono mettere in campo facendo ordine e interpretando con giudizio quell’autonomia di cui le scuole vanno fiere, ma che produce guasti quando si converte nello sterile individualismo. Insomma: cooperazione, lavoro d’insieme, organizzazione. Anche questo si può fare.

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