Nella storia e nell’immaginario nazionale, il 25 aprile 1945 assume un’importanza incomparabile. Per la prima volta nella sua storia, esattamente 75 anni fa, un popolo, quello italiano, esprimeva in massa la sua volontà e lo faceva, senza barriere di classe e di censo, per ribellarsi vittoriosamente a un potere dispotico e disumano, quello nazifascista. Ovvero del potere razzista e genocida del Terzo Reich tedesco, che aveva sparso morte e distruzione in Europa e nel mondo e si avvaleva sul territorio italiano dei suoi scherani mussoliniani, ad esso in tutto e per tutto subordinati.

Fu certamente l’esito di vicende umanamente complesse. Molti giovani che si erano formati durante il fascismo furono costretti a compiere scelte radicali e irreversibili. Alcuni aderirono alla Resistenza combattente, altri restarono invischiati nella rete della coscrizione obbligatoria da cui si liberarono non appena possibile, altri, ideologizzati e plagiati dalla propaganda del regime, combatterono fino alla morte o alla prigionia. Non furono certamente vicende facili e ci furono lacerazioni individuali e collettive. Ma fu un prezzo da pagare per ottenere una rinascita nazionale, che effettivamente ci fu e venne negli anni immediatamente successivi ratificata dal Referendum per la Repubblica e dall’Assemblea Costituente che approvò la Costituzione repubblicana.

Grazie al sacrificio di oltre settantamila partigiani l’Italia si liberò dalla morsa del nazifascismo. In che termini è ammissibile un parallelo col momento attuale? Stiamo attraversando un periodo difficile per la pandemia da Covid, soprattutto perché questa pandemia ha fatto emergere difetti strutturali del nostro Paese, aggravati dalle politiche scellerate di demolizione dello Stato sociale, incluso soprattutto il sistema sanitario, e di privatizzazione dei servizi pubblici, compresi quelli volti alla tutela della salute.

Abbiamo capito che dalla pandemia si esce solo esercitando un’autodisciplina dei comportamenti, principio che risulta ancora molto difficile imporre alla Confindustria, che come al solito sembra interessarsi maggiormente agli interessi del profitto più che a quelli del Paese. Oggi una destra oscena che hai i suoi caporioni in Bolsonaro e Trump chiama alla rivolta contro le misure indispensabili per rallentare la crescita della pandemia e probabilmente spera in cuor suo in una sorta di eugenetica a posteriori che liberi le rispettive popolazioni dalle zavorre sociali costituite, secondo loro, dai poveri e dagli anziani.

Questo periodo, come quello della Resistenza antifascista, ci lascia degli importanti insegnamenti. Abbiamo capito anche che sono a questo punto indispensabili ed urgenti, sia per uscire dalla pandemia che per affrontarne gli esiziali effetti sul piano economico, una redistribuzione del reddito e della ricchezza, che è la base imprescindibile di ogni solidarietà che non sia solo verbale e quindi profondamente ipocrita; politiche pubbliche di impianto e orientamento nettamente diverse da quelle fin qui praticate.

Politiche che mettano al centro l’interesse collettivo, emancipandosi dai dogmi mortiferi di stampo neoliberale che hanno fin qui presieduto all’azione di tutti i governi nessuno, escluso. Una cosa che abbiamo capito chiaramente negli ultimi due mesi è che non è vero che il mercato funziona bene o meglio dello Stato.

Liberazione dal Covid deve oggi significare anche liberazione dal neoliberismo. Ed ovviamente dai virus secondari ad esso collegati, come al razzismo di cui continuano a dar prova giornalisti indegni che andrebbero una volta per tutte radiati dall’esercizio della professione, che per loro si traduce in una continua istigazione all’ostilità, se non all’odio. E Liberazione ovviamente dal fascismo e dai suoi residui epigoni, che continuano a voler esercitare una qualche iniziativa politica con i sistemi che loro sono più congeniali.

E’ noto come alcuni industriali a suo tempo finanziarono e appoggiarono il fascismo nascente per allontanare il pericolo della presa di potere da parte della classe operaia, che si era espressa in termini molto risoluti durante il biennio rosso dei Consigli di Fabbrica (1919-1920) Così come gli stessi industriali durante l’occupazione tedesca abbandonarono le fabbriche che furono salvate e protette dagli operai. Gli stessi operai che oggi sono in prima fila nella difesa della salute pubblica e si rifiutano giustamente di andare a lavorare in condizioni insoddisfacenti dal punto di vista della sicurezza sanitaria.

Settantacinque anni sono passati, ma i problemi di fondo della società italiana e internazionale sono ancora in buona misura gli stessi. Liberarsi dal Covid sarà possibile, ci auguriamo, ma dobbiamo anche liberarci da tutti gli altri fenomeni menzionati, che hanno assecondato fra l’altro anche la diffusione del malefico virus.

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