In una città con una delle sezioni fasciste più dure d'Italia, la squadra di calcio, da neopromossa, ottenne il miglior piazzamento di sempre guidata da un ungherese di origini ebraiche, Erno Erbstein, che poi divenne l'architetto del Grande Torino. E in campo scendevano Bruno Scher, Libero Marchini, Gino Callegari, noti comunisti e anarchici invisi al regime. Più Bruno Neri, partigiano caduto in battaglia nel 1944 all'Eremo di Gamogna
Non è facile essere antifascisti nella Lucca degli anni del regime. La città – direttamente o indirettamente – è stata governata dal 1922 al 1932 dal federale Carlo Scorza, una delle personalità più importanti del fascismo intransigente. La città ha una delle sezioni fasciste più forti d’Italia. In Toscana, per numero di iscritti, davanti a Lucca c’è soltanto la sezione di Firenze. Non è facile essere antifascisti, in particolare, nel 1936. Pochi mesi prima Benito Mussolini ha proclamato l’Impero, facendo salire in maniera esponenziale la propria popolarità e il furore patriottico in tutto il Paese. Eppure è proprio sotto la Torre delle Ore che prende forma la squadra più dichiaratamente antifascista della Serie A durante il Ventennio: la Lucchese.
A guidarla un ungherese di origine ebraica, Erno Erbstein. È approdato a Lucca nel 1933 per volere del presidente Giuseppe Della Santina, che vuole tornare a giocare quella B assaggiata per una sola stagione tre anni prima. In cinque anni Erbstein vince due campionati (Prima Divisione e Serie B) e conquista la prima storica promozione in massima serie della società toscana. Ma, sopratutto, porta a Lucca un nutrito gruppo di noti antifascisti. Oltre a lui, in quella prima avventura in A, si annoverano in rosa Bruno Scher, Libero Marchini, Bruno Neri, Gino Callegari. Più il portiere Aldo Olivieri e il suo antifascismo silenzioso: “Io non sono mai stato fascista. Anche in Nazionale: mi adeguavo, ma non approvavo. Anche Pozzo non confondeva la politica col calcio, e difatti faceva in modo che del Duce non si parlasse mai. Sì, eravamo obbligati a fare il saluto, a recitare, e io recitavo. Ma mai ho preso la tessera: se si ama la libertà, non si può essere fascisti”. Tutti titolari e protagonisti assoluti di quel settimo posto in Serie A che ancora oggi rappresenta il risultato più importante per la società rossonera. A pari punti con l’Inter di Giuseppe Meazza.
Bruno Scher – Erbstein è arrivato da poco nella città toscana. Ha una buona squadra ma si accorge che manca un uomo che dia ordine e i tempi giusti in mezzo al campo. È in quel momento che l’allenatore magiaro si ricorda di un giocatore istriano che ha già avuto a disposizione durante la sua esperienza a Bari: Bruno Scher. È una grande occasione per la Lucchese. La squadra barese, infatti, lo ha messo fuori rosa. Il motivo? La sua fede dichiarata per il comunismo e il suo rifiuto di italianizzare il proprio cognome in “Scheri”. L’istriano diventa subito il punto di riferimento della squadra rossonera che ritorna in Serie B al termine della stagione 1933/1934. Rimane a Lucca fino alla fine della campionato 1937/38. Un gerarca locale gli suggerisce ancora di italianizzare il proprio cognome. Lui rifiuta nuovamente. Sarà costretto a scendere in Serie C giocando per l’Ampelea di Isola d’Istria.
Libero Marchini – Dopo un anno di assestamento in cadetteria, la Lucchese centra la prima storica promozione in Seria A nella stagione 1935/36 vincendo il campionato. Oltre a Bruno Scher e al “gatto magico” Aldo Olivieri – arrivato l’anno prima e futuro campione del mondo con l’Italia nel 1938 – tra i grandi protagonisti di quella cavalcata c’è anche un interno di centrocampo di Castelnuovo Magra acquistato in estate dal Genova: Libero Marchini. Viene da una famiglia di anarchici e le sue posizioni antifasciste sono note a tutti. In quella stagione di Serie B il suo apporto per la causa lucchese è così determinante da convincente il ct Vittorio Pozzo a inserirlo nella rosa italiana che trionferà alle Olimpiadi di Berlino 1936. Ed è proprio nella capitale tedesca, di fronte ai gerarchi fascisti e nazisti, che Marchini decide di manifestare tutto il proprio dissenso per il regime. Dopo la finale vinta contro l’Austria, invece di fare il saluto romano, abbassa il braccio fingendo di grattarsi la coscia. Lascia la Lucchese alla fine della stagione 1936/1937 per giocare con le maglie di Lazio e Torino. Chiude la carriera a Carrara, dove nel 1945 nasce la Federazione Anarchica Italiana.
Bruno Neri – Dieci settembre 1931, amichevole Fiorentina-Admira Vienna. È il giorno dell’inaugurazione del nuovo stadio della Fiorentina (attuale Artemio Franchi) che il presidente e fondatore Ridolfi ha voluto intitolare allo squadrista Giovanni Berta. I giocatori sono schierati a centrocampo e stanno omaggiando i gerarchi con il saluto romano. Solo uno rimane con le braccia lungo i fianchi: è il ventenne Bruno Neri. Per la stagione d’esordio in A, Erbstein vuole un giocatore che alzi il livello qualitativo e quantitativo in mezzo al campo e individua in Neri l’uomo giusto. La sua leadership diventa un fattore determinante per trascinare quella Lucchese al settimo posto in classifica. Un carisma che viene fuori anche nella partita più importante, quella come partigiano contro i nazi-fascisti. Nel 1944 viene nominato vicecomandante del “Battaglione Ravenna” con il nome di battaglia “Berni”. Il 10 luglio cade sull’Appennino tosco-emiliano dopo uno scontro a fuoco con i tedeschi, vicino all’eremo di Gamogna.
Gino Callegari – Durante l’estate arriva, in prestito dalla Sampierdarenese, il 25enne centrocampista Gino Callegari. Giocatore fisico e dotato di un ottimo senso tattico, Callegari in Serie A ha indossato anche la maglia della Roma, con la quale è stato protagonista di un episodio che ha messo in mostra tutto il suo spirito antifascista e anarchico. Durante la prima giornata 1933/1934 Mussolini passa in rassegna i giocatori, presentati uno ad uno dall’allora capitano giallorosso Bernardini. Arrivato davanti a Callegari però il Duce passa oltre, esclamando soltanto un eloquente “ah, l’anarchico”. Per Callegari le porte della Nazionale non si apriranno mai, e non per demeriti sportivi. A Lucca rimane soltanto una stagione, prima di tornare alla Sampierdarenese (chiamata Liguria).
Erbstein, dopo la Lucchese – Erbstein è costretto a lasciare Lucca a causa delle leggi razziali alla fine della stagione 1937/38. L’anno successivo la Lucchese retrocede. Ferruccio Novo, presidente del Torino, gli propone di passare ai piemontesi. Da Lucca porta con sé il portiere Olivieri e ritrova Bruno Neri. Insieme vanno a un passo dal titolo nel 1938/39, vinto dal Bologna di un altro tecnico magiaro, Arpad Weisz. Passata la guerra, Novo non si dimentica di quell’allenatore capace di competere con “lo squadrone che tremare il mondo fa” – come veniva ribattezzato il Bologna negli anni Trenta – e lo assume come direttore tecnico dei granata. Sarà l’architetto l’architetto del Grande Torino. Un’altra squadra unica, così come quella Lucchese di metà anni Trenta nell’Italia fascista.