L’indice decisivo, Rt, che misura la capacità di contagio, è inferiore a 1 in tutta Italia. Precisamente, oscilla tra 0,2 e 0,7. Era la notizia attesa da settimana – e confermata già nei giorni scorsi – necessaria per pensare di riaprire le attività e procedere alla “Fase due”. I dettagli dell’andamento dell’epidemia sono stati spiegati durante la conferenza stampa dell’Istituto superiore di sanità: la situazione epidemiologia quindi è “nettamente migliorata”, ma il virus continua a circolare, perciò è più che mai necessaria la cautela.

Il numero dei casi di Covid-19, infatti, “si sta riducendo dappertutto, ma è ancora necessaria prudenza rispetto alle misure di riapertura perché la situazione è diversificata nel Paese”, ha detto il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro. “La curva mostra che i sintomatici si riducono, ma ci sono ancora casi, e parallelamente aumenta l’utilizzo dei tamponi. Crescono gli asintomatici o coloro che hanno patologie lievi e si riducono i pazienti critici. Inoltre le età più avanzate, con più patologie, sono a maggior rischio mortalità”.

Contagi soprattutto in rsa e famiglie – Poi Stefano Merler, della fondazione Bruno Kessler, spiega che, in base ai modelli matematici, al Nord e in Lombardia l’epidemia è partita ben prima del fatidico 21 febbraio, data della scoperta del ‘paziente 1″: “Di sicuro a gennaio e forse anche prima”. Guardando poi alle settimane successive, la maggiore concentrazione dei casi si è registrata nelle case di riposo, a livello familiare e al lavoro: secondo un nuovo studio, su circa 4.500 casi notificati tra l’1 e il 23 aprile, il 44,1% delle infezioni si è verificato in una Rsa, il 24,7% in ambito familiare, il 10,8% in ospedale o ambulatorio e il 4,2% sul luogo di lavoro. Ad aprile, precisa Brusaferro, “sono aumentati i casi tra le donne” che però, in generale, muoiono meno degli uomini. Ma la letalità, precisa “è un tema che stiamo approfondendo: il dato mostra le età più elevate sono a maggior rischio. Sulle cartelle ciniche avere più patologie è un fattore”.

Rezza: “Fase 2? Distanziamento ancora più rigidi” “Siccome il Paese non regge un lockdown di oltre 2-3 mesi, dovranno riaprire alcune attività – spiega Gianni Rezza, direttore del dipartimento di Malattia infettive dell’Iss – ma bisogna mantenere molto alta l’attenzione e il distanziamento sociale dovrà essere ancora più rigido di quanto sia ora per far fronte al problema che pongono le riaperture”.

I ritardi nei calcoli e i primi focolai – Due settimane – dal 10 al 25 marzo – di lockdown sono state “necessarie” servite per far andare R0 sotto la soglia di 1, il giro di boa dell’epidemia. Guardando ai casi attuali, la vera difficoltà è individuare il momento del contagio. “C’è un ritardo nei dati – spiegano i ricercatori – I tamponi fatti oggi, il 24 aprile, si riferiscono a persone che potrebbero essersi ammalati addirittura il sei”. Questo perché il ritardo tra l’insorgere dei sintomi e la diagnosi è di circa 5 giorni. Dalla diagnosi alla notifica passa un’altra settimana: “Un tampone positivo vuole dire che una persona si è ammalata da 5 a 22-23 giorni prima. Ma fa differenza sapere se sei stato infettato 3 o 23 giorni fa, peggio ancora i decessi, i morti arrivano con un ritardo di 20 giorni”. Poi è stata esaminata la situazione dei primissimi focolai, nel Lodigiano, dove le abitudini sociali sono cambiate ben prima del lockdown nazionale “Ma il margine è sottilissimo per tornare sopra la soglia dell’indice dei contagi“, avverte. “Guardando i grafici capite che il nostro margine – tra R0 e R1 – non è enorme quindi è molto semplice tornare in una situazione di rischio”, precisa il ricercatore Stefano Merler. Per questo è necessaria la prudenza.

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