Un signore, un uomo onesto, un presidente di calcio coraggioso e appassionato. È morto Giuseppe Gazzoni Frascara. Aveva 84 anni. Presidente del Bologna Football Club 1909 all’epoca dei gioielli da lui voluti Roberto Baggio e Giuseppe Signori, Gazzoni fu quell’imprenditore che con soldi veri riacquistò un club finito in rovina in serie C nel 1993 e in sei stagioni lo portò ad una semifinale di Coppa Uefa, traguardo i cui echi ancora oggi risuonano sotto i portici della città in quarantena. Nessuno aveva fatto meglio di lui, se non il presidente dello scudetto, Renato Dall’Ara. Nemmeno l’attuale chairman delle mozzarelle, il canadese Joey Saputo.
Gazzoni fu anche l’unico presidente di una società di calcio che di Calciopoli fu vittima, accusando e portando in tribunale, fino all’ultimo avverso giudizio in Cassazione, nell’ordine arbitri, dirigenti e squadre di calcio: Luciano Moggi, Andrea Della Valle, Diego Della Valle, Sandro Mencucci, A.C.F. Fiorentina s.p.a., Pierluigi Pairetto, Juventus F.c. s.p.a., Massimo De Santis e Innocenzo Mazzini. Una causa da Davide contro Golia tenuta sempre sottovoce, perché Gazzoni non è mai stato uno da proclami, elicotteri in mezzo al campo, conferenze stampa show. Eppure era un imprenditore che i soldi li aveva fatti sul serio. L’Idrolitina, la celebre bustina con la polverina per far diventare effervescente l’acqua naturale, era un prodotto dell’azienda di famiglia attiva fin da metà ottocento, quando i suoi avi già lavoravano a livello imprenditoriale per lo Stato Pontificio. L’Idrolitina, già sponsor della squadra di calcio (come il Dietor, altro prodotto aziendale sponsor della Virtus del basket), negli anni settanta/ottanta portò Gazzoni anche ad investimenti finanziari che culminarono nell’acquisto del BFC 1909 nell’estate del 1993. In due anni con Renzo Ulivieri la squadra risale dalla serie C1 in B, poi ancora tra il ’95 e il ’96 in A.
Il primo anno in A è già settimo posto con i vari Marocchi, Kolyvanov, Andersson, Torrisi e Paramatti. Ma è nella stagione 1997-98 che fa capolino Roberto Baggio. È l’anno della lite tra il mister e il campione, dei gol di Baggio a trascinare il Dall’Ara e un ottavo posto che vale comunque la Uefa. Gazzoni osserva lo scontro. Quasi bilancia le personalità opposte dei due. Non è uno Zamparini e si vede. Baggio in estate se ne va, come si ferma Ulivieri. Entrano in scena Carletto Mazzone in panchina e soprattutto Beppe Signori in campo a cui si aggiungono Klas Ingesson, Francesco Antonioli e Jonathan Binotto. È il Bologna che arriva in semifinale di Uefa con il Marsiglia. Una roba mai vista sotto la curva Bulgarelli. Gazzoni spreme i risparmi di famiglia, ma è sempre attento ad ogni zero virgola sui conti correnti di staff e calciatori. In molti lo criticano, e le critiche arrivano soprattutto da quella tribuna vip che lui definì con un abile invenzione linguistica come “i milordini”. “Il milordino ha sempre un posto in prima fila quando si tratta di criticare e in ultima fila quando si tratta di pagare il biglietto (….) e quando finisce la partita butta per aria i cuscini… almeno li raccogliesse! Il milordino mi insulta a fine partita dicendomi che prendo solo gli scarti delle altre squadre”. Mica vero. Gazzoni era semplicemente oculato nello spendere. Faceva quadrare i bilanci.
L’epoca Guidolin è quella di nuovo da settimo posto ma anche quella del mister che manda a fan… la città. Gazzoni si riaffida a Mazzone, ma nella stagione 2004-2005 arriva lo strapiombo della B. Il presidente con la sua Victoria srl (società che finirà fallita diversi anni dopo) cede il Bologna ad un altro imprenditore cittadino Alfredo Cazzola. E avvolto da quel suo immancabile aplomb continua silenzioso nella lotta contro Moggi&co. Gazzoni parla apertamente di frode e di danni subiti da lui economicamente, e dal suo Bologna sportivamente. La retrocessione della squadra è frutto di una pastetta. Il j’accuse del presidente continua su altri lidi. Quelli giudiziari. “A determinare Calciopoli hanno contribuito presidenti che pagavano le plusvalenze convinti di fare l’ affare della vita con il loro amico Luciano, che intanto faceva mangiare altri dirigenti, procuratori e anche alcuni giornalisti – raccontava ad Avvenire nel 2017 – Che al vecchio Aldo Biscardi nel suo “Processo” televisivo intimavano di non mostrare i fuorigioco a sfavore della Juve o delle protette di Moggi non me lo sono mica inventato io… Ci sono intercettazioni telefoniche e prove serie messe agli atti, andate a rileggere quei faldoni, la storia è nelle carte processuali”.
Schivo, mai divo, sempre serio come una sfinge, dietro a quello sguardo inscalfibile più da film western che da ambiente signorile di città, Gazzoni continua una battaglia, poi persa, affronta il fallimento economico, paga per essere stato Icaro in un mondo di birichini che vendono impianti ad energia solare. E dire che lui è sempre stato uomo di dialogo e mai di rottura. Quando ancora il club stava risalendo la china dalla C alla B nel 1995 si candida perfino a sindaco della città. E lo fa cavalcando l’onda di Forza Italia di Berlusconi. Da “cavaliere” a “cavaliere”. Del lavoro, ovvio. La prima sfida a doppio turno col maggioritario nella città rossa da mezzo secolo, totem di cui sarà defraudata cinque anni dopo dal civico Giorgio Guazzaloca. Gazzoni si presenta con la lista Bologna Nuova ma arriva terzo con il 16% dei voti, superato perfino dall’altro concorrente di Alleanza Nazionale, un altro cuore rossoblu (con nuance tendenti al nero) l’avvocato Filippo Berselli. Una sconfitta mica da nulla con Walter Vitali che vince a mani basse e il candidato di Rifondazione, Ugo Boghetta, alle calcagna. Insomma, non è tempo per la politica, per un imprenditore abituato a trattare, quasi pontiere di un connubio privato e mondo cooperativo nel tessuto del capoluogo felsineo.
Ora tocca al calcio. Una passione che consuma, una passione misurata centesimo dopo centesimo. Il calcio nei primi anni duemila muta improvvisamente parecchio. I diritti tv cambiano i connotati del discorso anche per una persona con possibilità economiche come lui. Gazzoni lascia tutto, ma la sua voglia di andare su un campo cecoslovacco in trasferta Uefa per vincere sempre, di essere parte di una comunità sportiva e di una storia cittadina, rimane stampata nel ricordo del tifo bolognese. Tanto che l’ultima proprietà, quella americano-canadese, Tacopina/Saputo, mette le mani avanti e ringrazia chi ha saputo reggere il timone della barca in mezzo alla tempesta. Lo eleggono presidente onorario della società appena rifondata. Se c’è uno zampino internazionale nella storia del Bologna è grazie all’uomo dell’Idrolitina. Che in tempi di isolamento, di funerali impossibili dovuti al virus, almeno una sciarpa rossoblù giunga al camposanto per il cavalier Giuseppe Gazzoni Frascara.