Mi ero persa, nel 2011, il film Perfect Sense, diretto da David Mackenzie e interpretato da Eva Green e Ewan MacGregor: forse perchè presentato ad un festival prestigioso, ma di nicchia, come il Sundance la pellicola non deve aver girato molto nel nostro paese.
Lo trovate in rete, e davvero ne vale la pena, soprattutto per il momento che stiamo vivendo. L’ho visto nel weekend dopo la lunga diretta realizzata dalle Giornate della laicità sul web, alla quale ho partecipato insieme a molti ospiti.
Forse, chissà, per sincronicità, grazie a quella serie di insondabili coincidenze significative, come direbbe Jung, questo film è arrivato a me inaspettato e mi ha colpito profondamente. Ne parlo perché penso che in questo tempo sospeso la sua visione sia un viatico straordinario, quasi dolorosamente necessario per fare risuonare suggestioni intense, dopo tanto analizzare provando a tenere il filo della ragione e della logica.
E’ importante premettere che Perfect Sense fa apparire Cecità un film per l’infanzia e The road una favola, quindi occorre prepararsi ad un impatto emotivo molto forte. Ma non è un horror, né un giallo con colpi di scena annunciati da musiche insidiose e, curiosamente, a differenza dei due film citati non è tratto da un libro, anche se lo sembra, e forse chi ne è capace dovrebbe scrivere un testo di fantascienza da questo lungometraggio, perché buona parte del racconto è fatto di testi declamati dalla voce narrante.
La trama racconta, e qui veniamo a noi, di una crisi globale che ha tratti di somiglianza con il momento che stiamo vivendo. Prima da lontano, con relativa lentezza e sottovalutazione, poi sempre più vicino, cominciano a diffondersi sul pianeta casi di persone che perdono il senso dell’olfatto; la menomazione, che appare dannosa ma non drammatica, viene preceduta nei soggetti che si ammalano da intense crisi di immensa tristezza.
Sentite cosa scrive in Storia naturale dei sensi Diane Ackerman: “Non c’è nulla di più memorabile di un odore. Un profumo può essere inaspettato, momentaneo e fugace, eppure rievocare un’estate della nostra infanzia sulle rive di un lago dei monti Pocono, quando i cespugli di mirtillo erano carichi di frutti squisiti e l’altro sesso era misterioso come i viaggi nello spazio. Gli odori ci scoppiano silenziosamente nella memoria come mine violente, sepolte sotto le erbacce di molti anni di esperienze. Basta sfiorare il filo teso di un odore e i ricordi esplodono immediatamente, dal sottobosco balzano fuori visioni complesse”. Ecco perché tutta quella tristezza prima della perdita.
Poi è la volta del gusto, che viene meno dopo un attacco bulimico collettivo. Quindi l’udito, che si affievolisce sino a smettere di funzionare preceduto da uno scoppio di rabbia, perché ascoltare è connesso con la relazione e la reciprocità nella conversazione, e la sua scomparsa segna la fine della primaria comunicazione verbale con gli altri esseri umani.
Ancora le parole della Ackerman: “La parola assurdità deriva dal latina ‘surdus’, ‘sordo o muto’, traduzione dall’arabo ‘jadr asamm’, radice sorda, a sua volta traduzione dal greco ‘alogos’, privo della parola o irrazionale. L’idea nascosta in questo groviglio etimologico è che il mondo resta comprensibile per le persone cieche o monche o prive del naso ma non per quelle che perdono l’udito, perché in questo caso l’indispensabile filo che permette di seguire la logica della vita si spezza. I sordi sono esclusi dal quotidiano contatto con il mondo, sono come radici sepolte sottoterra”.
La coraggiosa esperienza della mia amica Daniela Rossi con il suo figliolo, oggi giovane uomo perfettamente autonomo e sereno, narrata da lei nel libro Il mondo delle cose senza nome ci può aiutare a capire le difficoltà di chi viene colpito da questa assenza.
A fare da filo conduttore della vicenda politica globale di Perfect Sense c’è la storia intima e privata di una donna e un uomo: Susan, epidemiologa e Micheal, cuoco in un ristorante. Non per caso impegnati in modi diversi nel prendersi cura, lei attraverso la medicina e la scienza, lui con il cibo e la bellezza della creazione del nutrimento, i due si incontrano e si innamorano percorrendo insieme la pandemia, aggrappandosi l’uno all’altra sapendo che la fine è nota, ma dimostrando, al di là dell’inesorabilità di quel malanno che con la perdita della vista segnerà la fine della vita umana sul pianeta, quanto l’amore reciproco sia salvifico, e offra conforto, dignità e senso anche nel dramma.
Notevole nei tempi di scansione del racconto, contenuto e sobrio nel ritmare le cinque fasi dell’elaborazione del lutto, ovvero la negazione, la rabbia, l’elaborazione, la depressione e, infine, l’accettazione, Perfect Sense è anche un viaggio poetico dentro la grandezza dei cinque sensi umani, che troppo spesso diamo per scontati, e dei quali proprio per questo sappiamo pochissimo.
Così mi sono rimessa a rileggere con gioia immensa e rinnovata meraviglia quella miniera di emozionanti informazioni e suggestioni che è Storia naturale dei sensi di Diane Ackerman, che anni fa le mie classi all’università di Parma del corso Teoria e tecnica dei nuovi media impararono ad amare, dopo un primo momento di comprensibile perplessità.
Non vogliatemi male per la crudezza del film: se lo abbinate con la lettura del libro sarà un tandem nutriente capace di riportarvi alla magia e alla forza propulsiva dei vostri sensi, alleati formidabili per riprendere a vivere, progettare e sognare nel nuovo mondo che abbiamo da ri-costruire, quando l’emergenza si allenterà.