A causa della pandemia la domanda di greggio è scesa di 20-30 milioni di barili, facendone scendere il costo. Ma perché allora nel nostro Paese i carburanti non calano, o lo fanno pochissimo? La risposta è nella componente fiscale, che da noi pesa per il 70% sul prezzo al distributore. E a rimetterci sono sempre gli automobilisti
Se dovessimo associare un’immagine ai prezzi del petrolio che sono scesi fino a diventare negativi, la più adatta sarebbe quella di chi rimane con il cerino acceso in mano. Siamo di fronte ad una delle recessioni più grandi, profonde e severe della storia, non è difficile capire che la domanda di barili è scesa rovinosamente in ogni parte del mondo, dall’Europa agli Stati Uniti, dai paesi Emergenti all’Australia. Tranne che in Cina. Lì il coronavirus è arrivato per primo e lì già si vedono i primi segnali di normalizzazione, con la domanda che potrebbe essere positiva a partire da agosto.
In tutto il resto del globo bisognerà aspettare il 2021 per tornare ai livelli di domanda del 2019, se basterà. In termini di numeri la domanda è scesa tra i 20 e i 30 milioni di barili. Dal lato dell’offerta il più grande produttore al mondo di petrolio sono gli Stati Uniti che, insieme a Russia e Arabia Saudita formano la “triade” più potente nel settore. Gli ultimi due fanno parte dell’Opec+, che taglierà la produzione in modo scaglionato: 9,7 milioni in maggio e giugno, 7,7 da luglio a dicembre 2020 e 5,8 milioni di barili da gennaio 2021 fino ad aprile 2022. Avanzano ancora almeno 10 milioni di barili che nessuno vuole.
Oltre alla pandemia il prezzo del petrolio scende anche a causa della guerra che si sta combattendo nella triade, iniziata dall’Arabia Saudita per colpire probabilmente gli Stati Uniti che, con lo shale oil hanno rubato grandi quote di mercato proprio agli arabi. Ecco quindi che dopo i tassi di interesse negativi, con i quali ormai conviviamo da anni, anche il prezzo del petrolio è andato in territorio negativo. Il WTI, il petrolio americano, scambiato attraverso contratti che scadono ogni mese, per quello di maggio ha fatto per l’appunto registrare prezzi negativi. Che rappresentano sostanzialmente la cifra che un produttore è disposto a pagare per disfarsi della sovrapproduzione.
Si parla di manipolazioni, attività di insider trading, su cui autorità di vigilanza negli Stati Uniti hanno già iniziato ad indagare. Tutto può essere ma, a parte questo, è successo che sul contratto in scadenza si sono affollati i venditori sia per motivi tecnici legati al cambio di contratto e all’attività di fondi ed Etf ma anche perché uno dei problemi principali in questo momento è dove conservare l’oro nero. In tutto il mondo i depositi si stanno esaurendo e si stima che entro luglio anche l’America possa aver esaurito lo spazio di stoccaggio.
Chiuso il contratto di maggio il petrolio è poi rimbalzato grazie al tweet di Trump che ha lanciato una specie di battaglia navale contro l’Iran. Il tycoon può fare poco per far tagliare la produzione ai petrolieri americani e infatti il Segretario del Tesoro americano, Steven Mnuchin, ha dichiarato a Bloomberg che stanno valutando la creazione di un programma dedicato alle aziende petrolifere che hanno bisogno di aiuti. Chiudere i pozzi petroliferi tradizionali, come pure riaprirli, è complicatissimo. La pressione di un pozzo e la ricerca del suo equilibrio “geologico” è un esercizio molto difficile e spezzarlo dopo la chiusura significa poter riaprire non prima di due/tre anni.
Tuttavia, se dai pozzi si passa alla pompa di benzina, la fotografia in Italia sembra si riferisca ad un mondo diverso rispetto a quello descritto fin qui. Con i prezzi del greggio scesi ai minimi storici, se si guardano le rilevazioni settimanali del Mise, al 20 aprile, il prezzo è pari a 1.411,26 euro/1000 litri. Dunque, è sceso pochissimo.
Questo accade perché il valore della materia prima incide solo per una quota minima del prezzo alla pompa. L’accisa, imposta fissa, è pari a 0,728 euro/litro a cui va aggiunta l’IVA pari a 0,26 euro/litro (il 22% che si applica anche sull’accisa). La componente fiscale pesa quindi per quasi il 70% del prezzo. L’impatto delle quotazioni del greggio e del cambio euro/dollaro pesano per 0,192 euro/litro, mentre i rimanenti 0,25 euro/litro sono il margine a disposizione degli operatori.
Visto che la matematica non è un’opinione, la conclusione è che nonostante pandemie, guerre, manipolazioni e depositi pieni, in Italia spenderemo sempre 1 euro per fare il pieno d’aria.