Il partigiano Paolo Orlandini, classe 1924: "Dover stare in casa mi ha permesso di riordinare quello che potrò lasciare in eredità". Il racconto della sua decisione di combattere nella sua Regione, poi in Emilia e in Veneto: "Sono nato e cresciuto durante il Ventennio, ma anche se bambino sentivo addosso il peso della libertà tolta"
La quarantena di Paolo Orlandini, 96 anni, il comandante partigiano Millo, ha fatto un piccolo regalo alla memoria della Resistenza di Ancona e delle Marche: “Il momento è difficile, restare in casa non è facile, eppure l’obbligo di restare a casa mi ha fornito l’occasione per sistemare il mio ricco e corposo archivio personale. In questi decenni ho accumulato migliaia di ritagli di giornale e materiale vario, sono un conservatore, ho sempre accumulato tutto. Tante cose le ho buttate, il cassonetto della ‘carta’ sotto casa è pieno dei miei scarti. Adesso posso dire che lascerò un’eredità più precisa ai posteri“. Classe 1924 (“classe di ferro”), il comandante Millo racconta che il momento della sua scelta, la più difficile, coincise con il passaggio dei bombardieri alleati sul duomo di Ancona. “Ricordo giornate difficili e altre epiche. Sono nato e cresciuto in pieno Ventennio fascista, anche se bambino sentivo addosso il peso della libertà tolta. La Resistenza non è nata per caso. Non dimentico gli anni prima del conflitto, passati tra le passeggiate al mare a Portonovo e la scuola. Poi tutto cambiò con l’8 settembre del 1943, l’armistizio e l’arrivo degli Alleati nelle Marche. Ad ottobre, il 16 per la precisione, stavo tornando a casa con la bici quando le sirene antiaeree risuonarono. Ero ragazzo, ma non dimenticherò mai quegli aerei luccicanti sopra il campanile del duomo, la distruzione che ne seguì e la fuga dalla città, dai rastrellamenti: ricordo la marcia a piedi da Ancona ad Osimo con le nostre poche cose, una damigiana di vino e un sacco di grano”.
Dalle bombe sulla città alla battaglia. Orlandini ha combattuto su vari fronti, sia sul territorio provinciale che nel nord Italia: “Settimane e mesi cruciali quelli tra il 1944 e l’inizio del ‘45. Da partigiano, prima ho comandato della V Divisione Garibaldi Marche nella zona di Osimo. Gli Alleati, i polacchi nello specifico, spingevano dal Musone, i tedeschi erano arroccati e contrattaccavano da Offagna e noi in mezzo. Poi, nel 1945, dall’11 gennaio, ho affrontato le battaglie al fronte in nord Italia. Il 10 aprile abbiamo liberato Alfonsine (in provincia di Reggio Emilia, ndr), di cui sono cittadino onorario, e infine la grande battaglia in Veneto a Cavarzere dopo aver attraversato il Po proprio il 25 aprile del 1945”.
Orlandini ha compiuto 96 anni a gennaio, eppure la sua lucidità è tale da consentirgli di delineare con precisione ogni frammento del suo passato. Ottant’anni fa il secondo conflitto mondiale, oggi la guerra contro un virus invisibile. “Sto bene, a parte qualche acciacco e il fatto di invecchiare, ma non ho alcun problema di salute, tantomeno legato al virus”. Il tempo in casa, al riparo, lo ha passato sistemando l’archivio che consentirà di conservare le sue memorie. “Quando non sistemo l’archivio cure le mie altre passioni, troppo spesso colpevolmente abbandonate, tra cui la lettura. Quanti libri ho iniziato e poi abbandonato in tutti questi anni, adesso recupero il tempo perso. Ne ho letti diversi già, uno di Cesare Pavese e, tanto per restare in tema di Liberazione, uno su Mussolini. Per il resto guardo la tv, o meglio, quel poco di decente che resta. L’altra sera ho visto il film di Lizzani dedicato agli ultimi giorni di vita del Duce (Mussolini ultimo atto, ndr). Per fortuna, c’è Rai Storia, un grande canale”. Le polemiche sul 25 aprile divisivo? Risponde: “I nostri morti hanno combattuto per la libertà, non sono e non possono essere uguali agli altri. Certi personaggi della destra attuale non ci provino a rimescolare le carte e ci lascino piangerli e celebrarli in pace”.