Dunque, alla fine, anche quest’anno il 25 aprile viene celebrato come si deve. Anzi proprio nell’anno che, per ovvi motivi, avrebbe dovuto creare le maggiori difficoltà, la festa della Liberazione dimostra tutta la sua vitalità, con le mille iniziative a cui ha dato vita in forme aggiornate, diverse, moderne, con i nuovi luoghi di incontro virtuali ma molto frequentati. Alla fine, forse, i cittadini coinvolti sono stati più numerosi del passato, quando, complice anche il richiamo dei “ponti” primaverili, molti non erano inclini alla partecipazione.

In tutto questo felice panorama quello che mi colpisce più che mai è l’intervento dei nemici del 25 aprile, che anche questa volta sono scesi in campo con le loro svariate e pirotecniche proposte. A dare il via a quello che Matteo Salvini, l’anno scorso, in qualità di coltissimo ministro dell’Interno aveva chiamato “il derby”, è stato Alessandro Sallusti.

Con uno dei suoi eleganti sofismi, aveva annunciato che questa volta il virus ci avrebbe esentato da questa ricorrenza inutile visto che di partigiani in giro non ce n’è più neanche uno. Che sarebbe come dire che non c’è nessun motivo di festeggiare l’Epifania, visto che i Re Magi sono morti tutti da un pezzo. Poi è arrivato Ignazio La Russa con due proposte veramente suggestive: la prima, un po’ iettatoria, di dedicare la festa ai morti dell’epidemia, l’altra di cambiare la musica: al posto di Bella ciao, La canzone del Piave, magari – già che ci siamo – spostando tutto al 24 maggio.

Alla fine è intervenuta anche Alessandra Mussolini e allora si è capito che si stava raschiando il fondo del barile. Ma io sono sempre molto grato a questi nemici del 25 aprile, che sono a parer mio tra i migliori sponsor della festa: ogni loro intervento moltiplica l’attenzione, la passione, l’inventiva, la voglia di partecipare degli italiani.

Uno dei più grandi poeti del Novecento, Bertolt Brecht, ha scritto una bellissima poesia intitolata La scritta invincibile, che di certo La Russa e amici non conoscono. La riassumo: racconta (la poesia di Brecht è sempre narrativa) un episodio accaduto in Italia ai tempi della Prima guerra mondiale. In un carcere pieno di soldati arrestati, di ubriachi, di ladri, un soldato socialista aveva scritto sul muro della cella col lapis copiativo un grande, enorme “Viva Lenin”. I secondini mandarono un imbianchino per cancellarla, ma, avendo seguito i caratteri della scritta, il giorno dopo sul muro risaltava in bianco “Viva Lenin”. Allora mandarono un altro imbianchino con un pennello più grande per coprire il tutto, ma al mattino dopo con la calce asciutta la scritta ricomparve. A questo punto mandarono un muratore che con un coltello raschiasse una dopo l’altra le lettere. Al termine del suo lungo lavoro, nella cella spiccava senza più colore, ma incisa a fondo nel muro la scritta invincibile “Viva Lenin”. “E ora levate il muro! disse il soldato”: è l’ultimo verso della poesia.

Ecco: a me pare che i vari denigratori, abolitori, riformatori della celebrazione della Resistenza e della Liberazione dal nazifascismo siano un po’ come gli imbianchini e i muratori della poesia di Brecht. Più si dannano per cancellarlo, più il 25 aprile appare in tutta la sua forza di festa “invincibile”.

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