Affermare che in Egitto il numero delle diagnosi di Covid-19 è sottostimato appare un eufemismo: stando ai dati ufficiali diffusi dal Ministero della Salute del Cairo, i casi accertati di pazienti positivi al Coronavirus sono 3.891. Su una popolazione di oltre 100 milioni di abitanti (cifra superata un paio di mesi fa secondo l’esito dell’ultimo censimento) quella statistica si perde e soprattutto racconta una verità improbabile. I nuovi casi registrati sono appena 232, oltre a 11 morti che fanno salire il totale a 287 vittime dall’inizio dell’emergenza. Oltre 850 le persone considerate guarite. Dall’inizio della crisi sarebbero stati processati circa 75mila tamponi, più o meno quelli prodotti da una regione italiana di non massimo impatto.

Questo in un Paese che già dalla fine di febbraio aveva iniziato ad adottare una serie di procedure, tra cui il rilevamento della temperatura per tutti i passeggeri in arrivo dall’estero negli aeroporti, con particolare attenzione verso gli stranieri. Nei giorni scorsi il rappresentante dell’Organizzazione mondiale della sanità (Who) in Egitto, John Jabbour, ha chiesto alle autorità egiziane di produrre più test: “Secondo le nostre stime – ha detto Jabbour – le infezioni sarebbero almeno 20mila, di conseguenza le morti dovrebbero essere attorno a 1.500”.

I provvedimenti per contenere l’epidemia – Il governo di al-Sisi, da ormai un mese, ha assunto una serie di misure per limitare l’impatto del contagio, tra cui il coprifuoco dalle 20 alle 6 del mattino successivo. Controversa la misura di chiudere scuole, università, luoghi di culto ed evitare assembramenti, lasciando poi regolarmente attivi nei giorni feriali i servizi di trasporto, tra cui gli affollati bus e la frequentatissima metropolitana del Cairo (nell’immagine la capitale il 14 aprile). Per la recente festività del Sham el-Nessin (lunedì 20 aprile) il governo ha fermato tutto, ma il vero problema arriverà da adesso in avanti per il mese che caratterizza la festività principale del mondo islamico, il Ramadan da venerdì 24 aprile. Sarà difficile per gli egiziani, come per tutti i musulmani del mondo, rispettare norme e divieti, specie nella parte finale della giornata, dal tramonto in avanti, caratterizzata da ritrovi conviviali che rappresentano il cuore della cultura religiosa islamica: riunioni familiari e socializzazione sono d’obbligo dopo ore di rispetto del digiuno. In tal senso, l’esecutivo ha annunciato ulteriori misure anti-Covid, tra cui l’estensione del coprifuoco, dalle 21 alle 5.

Ramadan in quarantena – L’evento religioso al tempo del Coronavirus riguarda tutta la popolazione musulmana, l’Egitto come gli altri Paesi del Nord Africa, dove la pandemia mostra un’aggressività limitata. I dati registrati dall’Organizzazione mondiale della sanità mostrano trend molto bassi. In Tunisia (quasi 12 milioni di abitanti), ad esempio, in riferimento ai dati diffusi il 19 aprile scorso, i positivi sono 866 con 37 morti e 47 guariti. Il 9 marzo scorso il governo tunisino, tra le varie misure, ha sospeso il trasporto aereo con l’Italia e due giorni dopo ha chiuso le scuole.

La situazione più delicata riguarda i migranti stivati nei vari centro di accoglienza nella regione di Medenine nel sud del Paese e ai confini con la Libia. Il flusso di migranti tra i due stati è costante e sono centinaia quelli ospitati attualmente nei centri gestiti da Unhcr e Oim. Le attività sono ferme, tra assistenza, corridoi umanitari e rimpatri assistiti. Il timore che il virus possa irrompere dentro strutture affollate di persone stanche e logorate da attese infinite per una soluzione definitiva dei loro percorsi è molto forte. A proposito di migranti, la situazione è delicata pure nelle enclave spagnole di Ceuta e Melilla, nel nord del Marocco. I centri di accoglienza (Ceti) continuano ad essere attivi e il numero di persone ospitate cresce di giorno in giorno, anche a causa del blocco dei trasporti di stranieri sul suolo iberico per le pratiche della richiesta d’asilo. Anche in questo caso le probabilità di contagio aumentano.

Gli altri Paesi del Nordafrica – Sul fronte del contrasto alla diffusione del virus, il Marocco ha assunto misure forti limitando il contagio a meno di 2.800 persone con 142 morti e 320 guariti. È pur vero che sia in Marocco come negli altri stati menzionati, il numero dei test effettuati è molto basso. A differenza dei Paesi saheliani ed equatoriali, non regge la tesi dello scarso attecchimento della pandemia a causa delle alte temperature, visto che in Maghreb e Mashrek (Egitto, Medio Oriente e penisola araba) la stagionalità è simile a quella dell’Europa meridionale. L’Oms, infine non ha potuto raccogliere dati e stime del contagio in Libia dove i problemi continuano ad essere altri, ossia l’inasprirsi di un conflitto interno che ha messo alla porta buona parte dei partner internazionali.

Parlare dell’epidemia – Tornando all’Egitto, parlare o diffondere notizie sul Coronavirus può essere molto pericoloso. Ne sanno qualcosa una serie di giornalisti e attivisti, colpiti, nelle scorse settimane, da una serie di provvedimenti. La giornalista del sito online Mada Masr, Basma Moustafa (quella che nel 2016 ha smascherato il tragico depistaggio nel caso Regeni, ossia lo sterminio di una famiglia del Cairo, considerata alla base del rapimento e della morte del ricercatore friulano, da parte delle forze di sicurezza), ad esempio, nel marzo scorso è stata prelevata dalla State Security nel cuore di Downtown Cairo, davanti al Ministero della Salute. La giornalista stava seguendo la protesta di un gruppo di egiziani che lavoravano nei Paesi arabi e il Ministero non rilasciava loro il permesso di partire. Dopo essere stata avvicinata da funzionari in borghese e fatta salire in macchina, una volta alla stazione di polizia di Abdeen ha subìto minacce e pressioni per poi essere rilasciata in serata.

L’altra notte è andata peggio alla moglie del noto attivista e ricercatore universitario Tamer Mowafy, Marwa Arafa. La donna, traduttrice e a capo di un’organizzazione di beneficenza che si occupa del supporto ai prigionieri nelle carceri, martedì è stata prelevata davanti alla figlia piccola a casa sua da agenti della sicurezza nazionale e portata in un luogo al momento ancora sconosciuto. A tal proposito, tornando alla pandemia, sono forti i timori che il virus possa essere entrato negli istituti di pena del Paese. Da oltre un mese i familiari dei detenuti per reati politici non hanno più notizie dei loro cari. Con le udienze e soprattutto le visite in carcere sospese a tempo indeterminato, è impossibile sapere se qualcuno si sia ammalato. Tra loro Patrick Zaki, lo studente del corso Erasmus di Bologna arrestato all’inizio di febbraio appena rientrato in Egitto dall’Italia per una breve vacanza. I genitori e la sorella Marise non hanno sue notizie da inizio marzo, quando è stato trasferito da Mansoura in un carcere della capitale, mentre l’udienza del suo caso ha subìto il sesto rinvio consecutivo.

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