“Il mio ruolo si colloca all’interno di un percorso diagnostico che è stato fatto sin dall’ingresso in pronto soccorso di questo paziente, che era giovane, sano, senza patologie e che era entrato con un grado di polmonite inizialmente leggero, ma che nell’arco di pochissime ore si è trasformata in una polmonite gravissima senza nessuna risposta alla terapia messa in atto in quel momento. La gravità di questa polmonite ha acceso un campanello dall’allarme proprio perché non guariva. Inoltre il racconto della moglie che lo collegava, anche se in modo molto labile, alla Cina messo insieme alla gravità del quadro clinico e ad alcuni dati sulla polmonite e agli esami di laboratorio, che potevano correlare questa polmonite con una causa virale, ci ha fatto proseguire l’iter diagnostico senza escludere nulla a priori. Sono stata io la prima persona a citare la parola coronavirus, L’idea di fare comunque quel tampone, che è stata un’idea condivisa con il mio primario e con i primari di microbiologia e malattie infettive dell’ospedale di Lodi e la direzione sanitaria dell’ospedale, era comunque volta a tutelare al meglio un paziente giovane che stava morendo”. Lo ha detto a Sky TG24 Annalisa Malara, l’anestesista che per prima ha individuato il ‘paziente 1’ a Codogno.
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