Ricordare Giulietto Chiesa significa parlare di una persona che sentivo dalla stessa parte della barricata. Una persona molto diversa da me, con sensibilità, priorità e comportamenti diversi dai miei, ma che – nella complicata traversata di questa esistenza che siamo chiamati a vivere sulla terra – era indubbiamente dalla stessa parte della barricata.
Innanzitutto sul piano morale. Giulietto era in grado di indignarsi, di soffrire per le ingiustizie. Non era un cinico. La lunga militanza politica non l’aveva portato ad assumere quel tratto di realismo nichilista che sovente connota anche coloro che continuano a battersi per la giustizia. Confrontarsi con le sofferenze umane è faticoso e soffrire è faticoso. La tentazione di costruire una corazza che – magari ammantata di motivazione politiche – permetta di porre una distanza maggiore tra la sofferenza e il nostro io, è una tentazione forte, comprensibile.
Mi pare che Giulietto abbia in questo saputo mantenere una forte tensione morale, una capacità di indignarsi, di soffrire. Una capacità di restare umano. Non è cosa da poco e considero questo modo di approcciarsi al mondo il punto fondamentale per poterlo modificare positivamente. Non è un punto direttamente politico, è un punto metapolitico, un tratto etico e antropologico. E’ un modo di guardare al mondo che non solo ritengo essenziale ma che ho riscontrato nella coscienza di Giulietto, nel suo modo di porsi prima ancora che nelle sue realizzazioni.
In secondo luogo sul piano politico. Giulietto stava dalla parte della lotta per la libertà, contro la guerra, contro il liberismo, l’imperialismo. Ci stava in modi assai diversi dai miei, sia sul piano analitico che sul piano dei percorsi politici, ma indubbiamente Giulietto, in perfetta buonafede ha passato l’esistenza a cercare di trovare i modi più efficaci per combattere la stessa battaglia che grossomodo cerco di combattere anch’io: la lotta per la libertà e la giustizia, la lotta affinché gli uomini e le donne possano liberamente scegliere il proprio futuro, senza essere piegati e costretti dai potentati di turno.
Indubbiamente Giulietto aveva una torsione che io considero – semplificando per brevità – complottista. Avremmo potuto discutere per anni sugli errori analitici e politici che ognuno dei due attribuiva all’altro. Ma questa era comunque una dialettica tra persone che si battevano per la libertà e che – di tanto in tanto – erano in grado di riconoscere le cose buone che derivavano dalla prassi posta in essere dall’altro.
Per questo oggi piango un compagno, una persona sensibile che si batteva per le cose giuste, in primo luogo per la pace, contro la guerra e parte rilevante di questo dolore è data dalla consapevolezza che non potremmo più discutere e – perché no – litigare.
Ciao Giulietto, la terra ti sia lieve.