Società

Coronavirus: ci vogliono regole univoche per la fase due, ma quali?

Adesso regole, regole, regole! Sappiamo che noi Italiani abbiamo una marcia in più per quanto concerne la duttilità, l’improvvisazione e la creatività. In questo frangente, però, occorre che lo Stato utilizzi queste settimane per ridurre al minimo la discrezionalità, nella cosiddetta fase due.

Non dobbiamo più essere impreparati, come è successo tragicamente nella fase uno, soprattutto in Lombardia, nei pronto soccorsi e nelle case di riposo. Pochi hanno avuto il coraggio o l’autorità per chiudere alle visite dei parenti, obbligando tutti gli operatori a determinati comportamenti. Devono esserci regole univoche, non discutibili.

Ad esempio per prima cosa l’uso delle mascherine deve essere definito in modo molto chiaro. Quindi o la mettiamo o non la mettiamo! In strada? Negli uffici? Nei negozi? Il distanziamento deve esserci lo stesso? E di quale entità? Altro punto da definire è il comportamento da tenere nel caso di malattia.

Ad esempio potrebbe avere senso che tutti al mattino ci misurassimo la temperatura con un semplice termometro? Nel caso di rialzo oltre i 37 gradi o tosse e astenia non andare tassativamente al lavoro o fuori casa? Chi contattare? Dove andare o dove non andare per avere accesso a strutture sanitarie? In che tempi gli eventuali contagiati saranno presi in carico? In che tempo fare l’esame del tampone? Come avvertire e se avvertire in modo anonimo, possibilmente, i vari contatti che abbiamo avuto nelle ultime due settimane?

Poi occorre sapere da fonti autorevoli come comportarsi nei bar, nelle fabbriche, per accedere ai bagni. I bagni devono avere un igienizzante da usare prima e dopo l’accesso? Deve essere garantita una ventilazione dopo ogni accesso? Per quanto tempo? I muratori devono portare i guanti? Gli idraulici? Il notaio? Il commercialista?

Le regole devono essere il più possibile dettagliate, sia a livello dei micro comportamenti sia a quello delle decisioni collettive. Ad esempio, se si crea un focolaio (a proposito cosa si intende per focolaio infettivo? Quanti casi lo definiscono?) in che tempi prefetto e/o presidente di regione decidono una zona rossa in un comune?

Purtroppo i virologi che infestano la televisione (paiono virus che si sono riprodotti) hanno detto tutto e il contrario di tutto in questi ultimi due mesi. Si è passati dal definire il Covid una banale influenza che necessitava solo del lavaggio delle mani e di un distanziamento di un metro a paventare che, anche se si corre o si cammina per strada, si potrebbe respirare il virus e morire. Si è iniziato dall’idea che, per infettarsi, occorra un contatto ravvicinato e stretto, alla percezione di un pericolo sempre e costantemente presente, per cui guai a toccare un interruttore, una maniglia, un foglio di carta o una busta.

A questo punto basta balletti televisivi, condotti da chi dice esattamente il contrario di ciò che aveva asserito con convinzione un mese fa. Ora tutti i responsabili devono mettersi al lavoro. Occorrono regole per i postini, per i corrieri, per il fruttivendolo, il meccanico etc. A proposito: è consentito nei grandi centri commerciali l’utilizzo di un termoscanner per inibire l’accesso a chi ha temperature elevate?

Qualcuno obietterà che in questo modo si alimenta una burocrazia eccessiva, che far rispettare le regole è complesso e non si può mettere un vigile di fianco a ogni cittadino. E’ vero, tanto che forse sono più utili regole non coercitive ma chiare a cui spontaneamente uniformarsi. Direttive che tolgano l’ambiguità. Non leggi con penali, ma regole che i cittadini possono consultare per cercare un modo di convivere col virus.

Il fatto che i giudici si stiano buttando nell’agone, aprendo fascicoli con ipotesi di disastro o omicidio colposo mette paura, per cui c’è il rischio che nessuno abbia il coraggio di formulare per iscritto delle regole. Come moderni Don Abbondio i vari comitati predisposti a indicare delle regole potrebbero esprimere pareri fumosi, che servono a poco, ma li preservano in caso di denuncia.

A catena i burocrati responsabili possono usare la loro sperimentata abilità per produrre direttive volutamente ambigue. Il proliferare, anche questo virale, delle “task force” per cui ormai ce ne sono una ventina non aiuta, in quanto c’è costantemente il rischio del rimpallo fra l’una e l’altra. Prevale il parere dell’Istituto superiore della sanità? Della task force della protezione civile? Di quella del presidente del consiglio? Del consiglio superiore di sanità? O degli assessori regionali alla sanità? O l’ultima nata delle città metropolitane?

Sappiamo che la situazione è incerta, non vi sono evidenze assolute e incontrovertibili, ma proprio per questo qualcuno, che a questo punto può avere preventivamente una sorta di immunità penale sulle conseguenze nel caso sbagli, deve prendersi la responsabilità di indicare percorsi e regole molto ben definite e che tutti capiscano.