Per tutta la giornata di domenica, presidenti, dirigenti e allenatori smaniosi di tornare a giocare hanno continuato a mandarsi messaggini entusiasti: “Ci vediamo il 4 al centro sportivo”, “riprendono gli allenamenti”. Avevano fatto i conti senza l’oste, cioè il governo. Che poi è l’errore che il pallone continua a fare da settimane, esprimendo profezie molto poco autoavveranti e facendo passare sui giornali veline sull’imminente ripresa che poi si scontrano con la dura realtà. Dal 4 maggio inizia la “fase due” anche per lo sport, ma non per il calcio.
Per l’ennesima volta Figc e Lega Serie A ricevono uno schiaffo in faccia da Palazzo Chigi. Era già successo un paio di settimane fa, quando con ripetute pressioni avevano cercato di ottenere il via libera per i test addirittura dal 27 aprile. Adesso il rifiuto fa ancora più male. Con la sua solita arroganza, il pallone era convinto di ricevere il via libera per gli allenamenti a partire dal 4 maggio, e magari di strappare anche qualche giorno d’anticipo per le operazioni preliminari. L’ipotesi sul tavolo di cui si discuteva da giorni era quella di dare l’ok agli allenamenti soltanto per le sedute individuali. Una soluzione parziale per il calcio, sport di squadra per eccellenza, ma sarebbe stato comunque un primo passo verso la ripresa del campionato, specie se accompagnato da qualche garanzia su un immediato ritorno in gruppo. Niente di tutto ciò: quando in serata è arrivata la conferenza stampa del premier Conte, e le prime bozze del Dpcm hanno cominciato a circolare, per i presidenti del pallone è stata l’ennesima doccia gelata.
Il decreto di Palazzo Chigi dà effettivamente il via libera agli allenamenti, “nel rispetto delle norme di distanziamento sociale e senza alcun assembramento, a porte chiuse”. Ma il governo ha voluto aggiungere una condizione che sgonfia la palla: solo “per gli atleti di discipline sportive individuali”. Dunque allenamenti individuali per sport individuali: tennisti, nuotatori, corridori sì, calciatori no. Una postilla quasi “punitiva”. Ma c’è di più. Anche la data menzionata dal premier Conte per la ripresa del pallone, il 18 maggio, resta solo un’indicazione a voce: nel testo non ce n’è traccia, dovrà essere confermata e specificata nelle prossime settimane, al momento non c’è alcuna certezza su come e soprattutto quando ricominceranno gli allenamenti. La beffa è doppia, anzi tripla.
Di fatto, il governo non si è fidato del pallone e della richiesta di allenamenti soltanto individuali: chi avrebbe potuto controllare che le squadre rispettassero davvero le norme, una volta chiuse nei loro ritiri dorati? È come se il pressing del pallone sortisse esattamente l’effetto contrario da quello sperato. In fondo, lo fa intuire anche il ministro Spadafora, che ha parlato con fastidio di “pressioni” e “tentativi maldestri” da parte del calcio. Fra questi, rientra anche lo strampalato protocollo preparato dalla Figc, tutto tamponi e misure inapplicabili, che spaventa persino i medici sociali delle squadre ed è stato bocciato dal Comitato tecnico scientifico. Insomma, è una sconfitta per Claudio Lotito, che capeggia il partito della ripresa a tutti i costi, e continua a parlare di scudetto; e per certi versi anche del n.1 della Figc Gabriele Gravina, che tanto si sta esponendo sulla questione.
Il calcio era e resta fermo. Ad oggi diventa sempre più complicato pianificare la fine della stagione: con gli allenamenti che slittano (almeno al 18 maggio), sarà impossibile giocare prima di metà giugno. Vista la deadline del 2 agosto posta dalla Uefa, significa 13 partite in un mese e mezzo. Un tour de force, dopo una lunga inattività, con all’orizzonte una faticosa stagione (c’è pure l’Europeo nel 2021) e soprattutto con l’incognita di un nuovo contagio che rischierebbe di fermare tutto un’altra volta (è l’ipotesi che preoccupa di più il ministro Spadafora). Tanto che riprende quota l’idea dei playoff, un vecchio pallino di Gravina che solo così si salverebbe in corner. Ma la vera domanda a questo punto è: ne vale la pena? Solo il mondo del pallone pare non essersela ancora posta.