Il governo ha detto no alla ripresa dei riti religiosi, tra cui la messa, anche se in forma controllata e delimitata dalle norme di sicurezza. La Conferenze episcopale italiana non ci sta e teme di “vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto“. Con lei anche la Comunità religiosa islamica italiana (Coreis) e Commissione delle chiese evangeliche per i rapporti con lo Stato (Ccers) hanno sottolineato l’importanza per i credenti di poter tornare a professare la propria fede. Non segue la corrente, invece, l’Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei): “Gli ebrei italiani e le loro rappresentanze istituzionali si atterranno scrupolosamente a quanto previsto nel decreto”. E ha aggiunto: “Evitiamo di alimentare polemiche”
Il presidente dell’Ucei, Noemi Di Segni, in un intervento su Pagine Ebraiche ha sottolineato che tutti, comprese le comunità religiose, “dobbiamo essere consapevoli della gravità del momento e remare nella stessa direzione, evitando di alimentare polemiche e contrapposizioni che portano fuori strada dall’obiettivo primario di salvaguardia della vita e della salute di tutti i cittadini”.
“Se non rispettiamo le precauzioni la curva risalirà – si legge sul quotidiano dell’ebraismo italiano – aumenteranno i morti e avremmo danni irreversibili per la nostra economia“. E la presidente ha concordato: “Attraversiamo settimane difficili, nell’attesa di un ritorno alla normalità che si annuncia lungo e faticoso. Un contesto drammatico in cui il governo è chiamato a prendere decisioni sofferte, molto spesso impopolari, ma che hanno lo scopo di proteggerci il più possibile da una terribile minaccia che è ancora tra noi e che non se ne andrà purtroppo tanto presto”.
“Sono d’accordo con la Cei – ha invece detto l’imam Yahya Pallavicini, presidente della Coreis – Non è soltanto una questione di garantire il diritto di culto, ma c’è anche una insensibilità nei confronti di tutti i credenti, di qualsiasi fede”. La critica della Comunità islamica nei confronti del governo, però, non riguarda solo l’assenza di norme riguardanti una Fase 2 sulla libertà di culto. La Coreis, infatti, ha denunciato anche una “disparità di trattamento: noi non siamo stati neanche interpellati, il presidente del Consiglio ci convochi”.
Il pastore Luca Maria Negro, presidente della Ccers, già nei giorni scorsi aveva inviato una lettera al ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, sottolineando l’importanza dell’esercizio del diritto alla libertà di culto: in particolare aveva messo in luce le esigenze delle chiese evangeliche e più in generale delle minoranze religiose. “Esigenze che sembrano totalmente assenti dal dibattito di questi giorni”, ha dichiara il pastore Negro.
Nel rispetto delle norme di sicurezza, distanziamento sociale e contrasto alla pandemia, la Ccers ha richiesto che venga stipulato un protocollo ad hoc: in modo tale da concedere ai ministri di culto a cui sono affidate più comunità pastorali sul territorio italiano di spostarsi, di riprendere quanto prima i culti pubblici, sia pure in modo contingentato, e di raggiungere i luoghi di culto, talvolta distanti dalle abitazioni, con relativa autocertificazione.
“Auspichiamo pertanto – ha aggiunto il pastore – anche alla luce di quanto dichiarato ieri sera dal premier Giuseppe Conte, che il libero esercizio del culto pubblico, sancito dall’articolo 19 della Carta costituzionale, venga pienamente garantito a tutti i credenti, nel rispetto delle specificità di ogni confessione religiosa, con discernimento, prudenza e adottando i necessari dispositivi”.