Uno scontro tra la Cei e il governo italiano così netto non si vedeva da decenni. E ciò nonostante il presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, si sia formato a Villa Nazareth, il collegio universitario cattolico oggi presieduto dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano. Le misure della fase 2, quella della convivenza con il coronavirus, hanno, infatti, segnato il fallimento della trattativa dell’episcopato italiano con il governo. Inutili gli appelli del presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, che aveva affermato: “È arrivato il tempo di riprendere la celebrazione dell’Eucarestia domenicale e dei funerali in chiesa, oltre ai battesimi e a tutti gli altri sacramenti, naturalmente seguendo quelle misure necessarie a garantire la sicurezza in presenza di più persone nei luoghi pubblici”. Dal 4 maggio potranno essere nuovamente celebrati i funerali, ma solo alla presenza degli stretti familiari (parenti di primo o secondo grado), non più di 15 persone, se possibile all’aperto e a distanza l’uno dall’altro. E tutti dotati di mascherina. Resta, invece, almeno per il momento, il no alle messe, nonostante la proposta articolata di misure di distanziamento da parte della Cei.

Da qui la dura presa di posizione dell’episcopato che ha subito sottolineato il proprio “disaccordo” in merito alle decisioni del governo. “I vescovi italiani – si legge in una nota ufficiale – non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale”. E ancora: “Alla presidenza del Consiglio e al Comitato tecnico-scientifico si richiama il dovere di distinguere tra la loro responsabilità, dare indicazioni precise di carattere sanitario, e quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia”.

Immediata la replica di Palazzo Chigi che suona come un dietrofront, dettato anche da alcuni esponenti della maggioranza: Italia Viva e il Partito Democratico. “La presidenza del Consiglio – si legge in un comunicato – prende atto della comunicazione della Cei e conferma quanto già anticipato in conferenza stampa dal presidente Conte. Già nei prossimi giorni si studierà un protocollo che consenta quanto prima la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche in condizioni di massima sicurezza”. “Una sorta di tempo supplementare di riflessione per la riapertura ai fedeli delle messe e delle altre cerimonie religiose”, è il commento di Avvenire.

Il duro comunicato della Cei è stato diramato con il via libera della Segreteria di Stato vaticana e quindi rappresenta anche uno scontro, inedito in tempi recenti, tra le due sponde del Tevere. Il rapporto tra la Conferenza episcopale italiana e il governo fino a pochi istanti prima dell’annuncio delle misure previste per la fase 2 sembrava ben saldo. I vescovi della Penisola, durante il lockdown, avevano accettato a mani basse il divieto di messe e funerali coi fedeli. E ciò anche durante la Settimana Santa. Una rinuncia che ora la Cei era pronta a rivendicare con forza in vista della fase 2, sperando di incassare il via libera alle celebrazioni da parte del governo. Nella nota ufficiale, i vertici dell’episcopato italiano sottolineano proprio questo dialogo. “Un’interlocuzione – afferma la Cei – nella quale la Chiesa ha accettato, con sofferenza e senso di responsabilità, le limitazioni governative assunte per far fronte all’emergenza sanitaria. Un’interlocuzione nel corso della quale più volte si è sottolineato in maniera esplicita che, nel momento in cui vengano ridotte le limitazioni assunte per far fronte alla pandemia, la Chiesa esige di poter riprendere la sua azione pastorale”.

Nella sua nota, la Cei ricorda anche le recenti parole del capo del Viminale: “Sono allo studio del governo nuove misure per consentire il più ampio esercizio della libertà di culto”. E i vescovi commentano: “Le parole del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, nell’intervista rilasciata lo scorso giovedì 23 aprile ad Avvenire arrivavano dopo un’interlocuzione continua e disponibile tra la segreteria generale della Cei, il ministero e la stessa presidenza del Consiglio”. E aggiungono: “Ora, dopo queste settimane di negoziato che hanno visto la Cei presentare orientamenti e protocolli con cui affrontare una fase transitoria nel pieno rispetto di tutte le norme sanitarie, il decreto della presidenza del Consiglio dei Ministri varato esclude arbitrariamente la possibilità di celebrare la messa con il popolo”.

Una decisione, quella del governo Conte, che non tiene in considerazione anche i numerosi appelli che sono arrivati alla vigilia delle scelte dell’esecutivo. Tra i tanti, quello del Comitato valori e identità religiose di Lettera 150 che ha proposto “la celebrazione delle cerimonie religiose nel rispetto del distanziamento sociale e con l’uso di dispositivi di protezione individuale e di strumenti idonei a contenere efficacemente il rischio di contagio. Dovrebbe poi essere naturale il concedere, ai sacerdoti che lo desiderino, l’autorizzazione (sottraendoli all’obbligo di autocertificazione) a recarsi presso le abitazioni dei malati con appositi presidi e dispositivi per somministrare, laddove richiesto e laddove possibile, i sacramenti. Si chiede inoltre (come ad esempio in Svizzera), di ripristinare la possibilità di celebrare i riti funebri ‘nella stretta cerchia familiare’, ovviamente con l’uso dei medesimi presidi di protezione”.

Alla vigilia delle decisioni del governo, un episodio ha acceso il dibattito all’interno della Chiesa. L’irruzione dei carabinieri durante la messa che don Lino Viola, il parroco di Gallignano, una frazione di Soncino in provincia di Cremona, stava celebrando alla presenza di una quindicina di fedeli. A stigmatizzare il tentativo di interruzione della celebrazione è stato subito il cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, che sul suo profilo Twitter ha scritto: “A un sacerdote esterrefatto per quanto accaduto a un confratello nella diocesi di Cremona ho detto: deve essere difeso il principio che a nessuna autorità è consentito di interrompere la messa. Se il celebrante è reo di qualche infrazione sia ripreso dopo, non durante!”. Parole molto apprezzate dai cardinali Severino Poletto, arcivescovo emerito di Torino, e Konrad Krajewski, elemosiniere del Papa. Quest’ultimo ha telefonato a don Lino per manifestargli la sua solidarietà.

Segnali di un evidente malessere all’interno della Chiesa per le drastiche restrizioni imposte dal governo che, però, finora non ha sortito l’effetto sperato. Eppure Papa Francesco aveva ricevuto il premier Conte durante il lockdown, il 30 marzo. Proprio Bergoglio ha recentemente ribadito che la messa senza fedeli “non è la Chiesa: questa è la Chiesa di una situazione difficile, che il Signore permette, ma l’ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i sacramenti. Sempre”. E ha aggiunto: “Prima della Pasqua, quando è uscita la notizia che io avrei celebrato la Pasqua in San Pietro vuota, mi scrisse un vescovo, un bravo vescovo, e mi ha rimproverato. ‘Ma come mai, è così grande San Pietro, perché non mette 30 persone almeno, perché si veda gente? Non ci sarà pericolo’. Io pensai: ‘Ma, questo che ha nella testa, per dirmi questo?’. Io non capii, nel momento. Ma siccome è un bravo vescovo, molto vicino al popolo, qualcosa vorrà dirmi. Quando lo troverò, gli domanderò. Poi ho capito. Lui mi diceva: ‘Stia attento a non viralizzare la Chiesa, a non viralizzare i sacramenti, a non viralizzare il popolo di Dio’. La Chiesa, i sacramenti, il popolo di Dio sono concreti. È vero che in questo momento dobbiamo fare questa familiarità con il Signore in questo modo, ma per uscire dal tunnel, non per rimanerci”. Ora toccherà alla Segreteria di Stato vaticana e alla Cei concretizzare la parole del Papa.

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