Cronaca

Coronavirus, la definizione di ‘congiunti’ è ambigua. E l’Italia innamorata insorge

Non ci vuole una gran cultura latina per comprendere il significato della parola “congiunto”: giunto con. Unito a. Legato con. Forse non basta un ti-amo detto a letto, questo è chiaro, ma in ogni caso può il Governo arrogarsi il diritto di stabilire quale relazione affettiva, erotica, sentimentale abbia il diritto di essere nutrita? Conte è entrato in un ginepraio e l’Italia innamorata, a giusto titolo, insorge.

E’ vero, la nostra Costituzione non prevede il diritto alla felicità, come recita la Dichiarazione d’indipendenza Americana e come si impegna a tutelare l’Onu con la Giornata Internazionale della Felicità (dal 2012 è celebrata il 20 marzo), ma è pur vero che il tema non è indifferente nemmeno al nostro paese, tanto che, il 23 dicembre 2019, è stata presentata alla Camera dei Deputati la proposta di legge costituzionale C. 2321 rubricata “Modifica dell’articolo 3 della Costituzione in materia di riconoscimento del diritto alla felicità”:

“Art. 3 – Tutti i cittadini hanno diritto di essere felici, hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno godimento del diritto alla felicità, lo sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (in grassetto le modifiche che si potrebbero operare al testo attuale).

La relazione del 23 dicembre recitava: “La ‘felicità’ viene inquadrata come lo stato d’animo positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri, o come la compiuta esperienza di ogni appagamento. In sostanza, la felicità è un insieme di emozioni e sensazioni del corpo e dell’intelletto in grado di procurare benessere e gioia per un periodo più o meno lungo della nostra vita, e che si raggiungerebbero anche attraverso l’accettazione del ‘diverso’ e la tranquillità nello stare insieme con gli altri. Riconoscere questo vincolo solidale ci completa e realizza come persone e ci consente di raggiungere quella felicità individuale che porta alla felicità collettiva, indicandola come scopo delle leggi e dei governi. Una felicità, quindi, che non assumerebbe solo i connotati di un diritto, ma anche quelli di un dovere verso noi stessi e verso gli altri”.

Che ne è, dunque dell’amore tra innamorati che non vivono nella stessa casa, dal 4 maggio, dopo 54 giorni di distanza e frustrazione? Detta così suona pura retorica, lo so, e per questo cercherò di essere più chiara e elencare quanti legami vengono asfaltati dalle parole del divo Conte (tenendo conto che “congiunto” non è termine giuridico, dunque la parola per definizione è ambigua). Se è probabile che il Premier non intenda sdoganare gli affetti tout court (e scatenare per le vie delle città chiunque si senta in debito di ossitocina), ma invece sostenere i legami giuridici tra le persone, ecco che sono salvi matrimonio e parentela (occhio: la parentela non è riconosciuta oltre al sesto grado – articolo 77 del Codice civile).

E gli “affini” (i parenti di un coniuge – articolo 78 del Codice civile – rispetto all’altro coniuge, ad esempio i suoceri, la nuora, il genero, i cognati)? Non vi è alcun rapporto giuridico tra i parenti dei coniugi, dunque non è ammesso che la nuora vada a trovare la suocera e che il marito vada a prendere un caffè dalla propria cognata?

Al solito, questo sembra certo, boccone amaro per le famiglie LGBT+: infatti, le persone del medesimo sesso che hanno stipulato una unione civile, a differenza del contratto matrimoniale tra persone di sesso diverso, non danno nemmeno origine ad un rapporto di affinità tra un unito civile e i parenti dell’altro unito civile. Significa, ad esempio che mentre due cugini si possono tranquillamente incontrare, un unito civile (idem per un convivente di fatto) non potrebbe incontrarsi con i figli o i genitori dell’altro componente della coppia (pur se giuridica).

Insomma, fidanzati, amanti, amici, e tutte le relazioni affettive “non giuridicamente strutturate” non hanno diritto a ricongiungersi. Personalmente, sono d’accordo con Monica Cirinnà e non condivido la scelta di limitare le visite in sicurezza ai soli “congiunti”, se intesi legalmente, perché tale scelta non tiene conto della pluralità delle esperienze sentimentali e degli affetti: che senso ha chiudere in casa il marito violento con la moglie violentata e tenere separate persone con una relazione affettiva nutriente e significativa? Il legame di sangue, lo dicono la storia e la cronaca, non è garanzia di amore e benessere, ma invece lo è l’amore, la capacità di rendere “felice” un’altra persona. Felice, appunto.

Rendere sanzionabile una mamma arcobaleno se vuole raggiungere il proprio figlio/a semplicemente perché non è ad oggi riconosciuto giuridicamente quel legame (in Italia non abbiamo la stepchild adoption), o due “congiunti” non conviventi che desiderano rivedersi, o persone sole che hanno bisogno di incontrare un affetto importante e sostanziale è un gesto che non rispetta quel diritto alla felicità di cui parlavamo, né la pari dignità e l’autodeterminazione delle persone.

“Le solitudini sono tante e diverse, e non possono essere ignorate”, ha detto Cirinnà. Tanto che l’Oms, nelle sue ultime previsioni, annuncia che nel 2020 la depressione sarà la seconda causa di invalidità nel mondo. La storia del mondo è piena di storie d’amore, di cooperazione, di solidarietà, di legami erotici, passionali, di amicizie profondissime che hanno salvato vite intere e intere comunità, diventando esempi, ispirazione e aspirazione per generazioni.

Per salvare il mondo, questo è il mio punto di vista, occorre educare alla responsabilità personale: ognuno di noi può essere aiutato e stimolato a sviluppare le risorse per essere felice insieme agli altri, per sviluppare valore insieme agli altri, per fare di un atto solitario un’esperienza condivisa, nella consapevolezza dell’importanza di non recare danno e con una valutazione equilibrata ma intima dell’assunzione del rischio che qualunque atto d’amore implica.