Neppure la pandemia ha impedito ai ragazzi e alle ragazze di Fridays For Future di partecipare al quinto sciopero globale per il clima. Stavolta in versione digital, ahimè, ma non c’era altra scelta! Attraverso un sistema di geolocalizzazione online, lo scorso venerdì migliaia di attivisti si sono radunati virtualmente, intorno alle ore 10:00 di fronte a Palazzo Chigi (sic!), per gridare a colpi di cartelloni, anch’essi rigorosamente virtuali, che la crisi climatica è un’emergenza che non deve e non può essere accantonata in nome di una ripresa economica fondata sul business-as-usual.
Quel modello proposto dalle grandi aziende che, nel solito mondo capovolto a cui siamo da sempre abituati, andrebbe a ricostruire il sistema economico che ci ha portato dove siamo adesso, conservando tutte le sue palesi storture, e a rimpinguare i patrimoni di tutti quelli che nonostante la crisi sanitaria non hanno smesso di arricchirsi né hanno liquidato, tra un elogio e l’altro a cassiere, edicolanti, infermieri e fattorini (i cosiddetti eroi della “prima linea”, che eroi lo sono per davvero, ma saranno presto, purtroppo, dimenticati da tutti e sostituiti con altri idoli mediatici) la cultura disastrosa del profitto ad ogni costo.
Inoltre, come affermava Milton Friedman, l’economista del liberismo sfrenato, ‘solo una crisi, reale o percepita, produce un vero cambiamento. Quando quella crisi si verifica, le azioni che vengono intraprese dipendono dalle idee che circolano in quel momento’. E le principali idee che circolano, rafforzate dal potere economico dell’1% della popolazione globale, non sono certo quelle che ci salveranno dai drammatici effetti di una crisi climatica lasciata a se stessa.
È quindi indispensabile una solida volontà politica che orienti la ripresa da una delle più pesanti crisi economiche del mondo moderno, che ha visto crollare insieme domanda e offerta. E allo stesso tempo una massa sempre più numerosa e consapevole, che diffonda idee di cambiamento.
Quelle idee che gli attivisti di Fridays For future hanno raccolto in una proposta concreta di “Rinascita” che lasci alle spalle un passato senza dubbio presago di sventura: una Lettera all’Italia, firmata da oltre 50 tra i più autorevoli scienziati ed economisti italiani, che lo scorso 17 aprile ha ufficialmente inaugurato la campagna Ritorno al futuro.
Una proposta vasta che, a partire dall’abolizione dei sussidi al fossile, un ladrocinio che sperpera risorse che potrebbero essere usate a vantaggio della società, spazia da un grande piano di investimenti pubblici in grado di favorire una radicale transizione energetica e industriale, e di creare centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro (posti che una crisi climatica mal gestita, secondo molti studi, alla lunga ridurrebbe invece drasticamente); fino ad un invito ad un ripensamento del sistema agro-alimentare, che è tra le prime fonti di emissioni di gas climalteranti.
Un programma da sviluppare però sotto l’egida del più fondamentale dei principi: la giustizia sociale e climatica. Mettendo quindi avanti le fasce sociali che, già deboli prima della crisi sanitaria, adesso lo saranno ancora di più; unite alle decine di migliaia di lavoratori che, nella fase di ripresa economica, rischieranno il posto e dovranno essere tutelati. Ovviamente facendo gravare i costi della transizione sui maggiori responsabili della crisi climatica, dalle multinazionali estrattive a quelle del fossile (che invece potrebbero imporsi come infrastruttura della ripresa, a scapito delle energie rinnovabili) fino a tutte le altre grandi realtà produttive insostenibili.
Niente di nuovo, non è certo un movimento di piccole Cassandre (come è stato a più riprese definito) a poter trovare le soluzioni per risolvere la crisi climatica. Le soluzioni e le tecnologie per applicarle, ovviamente non in una settimana, ma con un piano dal lungo respiro, esistono già. A mancare è solo la volontà politica di adottarle e di farne il fulcro di un’agenda globale, per colpa di una classe dirigente mediocre e narcisista, alla continua ricerca di conflitti di comodo con cui calamitare l’attenzione dell’opinione pubblica, impedendole così di prendere coscienza dell’unico e vero conflitto in atto.
Rinnegando quella laica “religione dell’umanità” professata anche da Einstein, che non era altro che la convinzione che la vita individuale ha senso solo se considerata un tassello di una vita più vasta, cominciata prima di noi e destinata a sopravvivere alla nostra breve esistenza.
Fridays For Future, con i suoi scioperi che si spera torneranno presto a invadere le piazze, è qui per ribadirlo e per mettere in luce, infine, con grande umiltà e spirito propositivo, le evidenti contraddizioni di un sistema che ha fallito. Nella speranza che possa bastare.