Un welfare sbilanciato sulla previdenza – per cui alla sanità va meno del 23% dei fondi – e messo a dura prova dalle poche risorse a disposizione dopo la crisi del 2009. Nel pieno dell’emergenza coronavirus arriva un rapporto dell’Istat che fotografa l’andamento e la distribuzione della spesa per la protezione sociale in Italia. Se tra 1995 e 2008 la spesa è aumentata in media del 5% all’anno, tra 2009 e 2019 il tasso di crescita ha subito un “brusco rallentamento“, sottolinea l’istituto: solo +1,9% l’anno. Negli anni, inoltre, è stata “erosa la quota di spesa pubblica per l’assistenza ospedaliera“. E il peso della spesa sanitaria, la cui importanza cruciale è quanto mai evidente in queste settimane, “a partire dal 2008 si è gradualmente ridotto fino a tornare nel 2019 ai livelli degli anni ’90“.
L’Italia si colloca sotto la media europea per quota di prestazioni dedicate alla protezione della salute dei cittadini: solo il 23% contro il 35% della Germania, il 28,7% della Francia e il 26,7% della Spagna. Sopra il 30% si attestano anche Malta (34,3%), Slovenia (34,0%), Olanda e Croazia (entrambe 33,7%). Al contrario in Italia il 48,8% delle prestazioni sono contro il rischio vecchiaia, a fronte di una media europea del 40,5%.
“Brusco rallentamento” dal 2009 – Dal 1995 a oggi la spesa per prestazioni sociali è più che raddoppiata e nel 2019 è pari a 2,3 volte quella del 1995: quasi 479 miliardi tra prestazioni in denaro e in natura, da quelle sanitarie alle pensioni di invalidità, vecchiaia e per i superstiti, passando per i trattamenti di disoccupazione, gli assegni famigliari e i sussidi per i figli e gli aiuti per “alloggio e altra esclusione sociale”. Si tratta del 59,1% della spesa corrente. Tuttavia, dopo una crescita accentuata nel periodo 1995-2008 c’è stato un “brusco rallentamento”: L’obiettivo di contenere la spesa pubblica per far fronte alla crisi economica e alle difficoltà della finanza pubblica è stato perseguito anche con norme mirate a contenere la spesa pensionistica che ha determinato il rallentamento complessivo nel periodo”.
Solo il 23% alla sanità – Più del 66% della spesa del resto finisce in previdenza e in quest’ambito sono sempre le pensioni la componente più onerosa, con una spesa di 275,1 miliardi nel 2019 (pur in costante diminuzione, percentualmente). Solo il 22,7% è dedicato a prestazioni di tipo sanitario e l’11% all’assistenza sociale. Negli anni ’90, la previdenza pesava ancora di più, il 71%, a discapito soprattutto dell’assistenza (circa il 7%). L’Istat osserva che le prestazioni sanitarie fornite direttamente da strutture pubbliche costano poco meno di 68 miliardi (62,6% dei 108,5 miliardi spesi per la sanità) e il loro peso è rimasto sostanzialmente stabile nel tempo.
Assistenza ospedaliera sempre meno rilevante – In compenso l’assistenza ospedaliera ha progressivamente perso rilevanza a favore di altre tipologie di servizi sanitari: nel 1995 assorbiva il 40,7% delle risorse, oggi pesa solo per il 35,5% del totale, contro il 27,3% degli altri servizi. Le prestazioni erogate in convenzione da strutture private riguardano “una pluralità di servizi come l’assistenza medica (10,8% della spesa, di cui generica 6,2% e specialistica 4,6%), l’assistenza ospedaliera in case di cura private (8,9%), altre prestazioni sanitarie in convenzione (7,3%), i farmaci (7%) e l’assistenza riabilitativa, integrativa e protesica (3,3%)”.
Spesa per assistenza ai massimi con bonus 80 euro e reddito – Nel 2019, per la prima volta dal 1995, non sono più le prestazioni a invalidi civili, ciechi e sordomuti ad assorbire la quota maggiore di spesa per assistenza sociale (35,2%, 16,5 miliardi), soppiantati dalla categoria degli altri assegni e sussidi (37,8%, 19,9 miliardi). Quest’ultima è cresciuta a partire dal 2014, con l’introduzione del bonus 80 euro, portando l’intero ammontare speso per assistenza sociale per la prima volta sopra la soglia del 9%; la crescita è proseguita fino al 2019, anno in cui ha raggiunto il massimo peso dell’intero periodo (11%) per l’effetto aggiuntivo dell’introduzione del reddito di cittadinanza. Tra le altre prestazioni assistenziali figurano poi, con il 17% della spesa, quelle erogate sotto forma di servizi (asili nido, case di riposo per gli anziani, supporto alle persone non autosufficienti e molto altro), le pensioni e assegni sociali, cui è destinato il 9,8%, e le pensioni di guerra (0,8%).
Spesa pro capite in linea con la media Ue. Prima della crisi era superiore – La cifra pro-capite dedicata all’insieme delle prestazioni sociali è poco sopra gli 8mila euro, in linea con la media europea che è di 8.070 euro. Fino al 2008, prima della crisi, la spesa pro capite era di 6.488 euro in Europa e ben più alta della media – 7.073 euro – in Italia. Le cifre sono estremamente diversificate tra i Paesi dell’Unione. La spesa media pro capite più bassa si osserva in Bulgaria e Romania (rispettivamente, 1.211 e 1.349 euro l’anno), quella più alta in Lussemburgo, con 20.514 euro, e in Danimarca con 15.616 euro l’anno. Ulteriori differenze tra Paesi europei emergono considerando la spesa in rapporto al Pil. Il Lussemburgo scende in questo caso al 15esimo posto mentre l’Italia
occupa il settimo posto in graduatoria (28% del Pil) contro il dodicesimo per spesa pro capite. In rapporto al Pil
la spesa italiana è superiore alla media europea (26,8%) ma inferiore a quella della Francia che è in testa alla
graduatoria con il 31,7%
I paesi europei hanno dedicato in media alla vecchiaia il 40,5% di tutte le prestazioni erogate nel 2017, in Italia la quota è molto superiore: il 48,8%. Le prestazioni per malattia e salute seguono con il 29,7% in Europa, ma sono solo
il 23,1% in Italia.