Mentre il Paese si prepara ad affrontare la fase 2 e nonostante gli avvertimenti sul futuro dell'Iss, c'è chi lavora per indebolire l'esecutivo e ipotizza nuovi scenari di governo. In prima fila l'ex premier Matteo Renzi, che scalpita da settimane per mettersi alla testa di chi vuole "aprire tutto e farlo in fretta". Poi naturalmente il centrodestra con Confindustria che preme. E il Pd resta in attesa e cerca di non schiacciarsi troppo sulla leadership del capo del governo
Non c’è solo la curva dei contagi che Giuseppe Conte deve tenere d’occhio alla vigilia della fase 2. Mentre l’Italia prova gradualmente a ripartire, tra polemiche e perplessità, qualcosa si muove nei palazzi e il presidente del Consiglio ne è il diretto bersaglio. E’ presto per parlare di manovre per farlo cadere: smentiscono tutti (perfino Matteo Salvini) e far saltare il tavolo nel pieno dell’emergenza sanitaria, con la fiducia nel premier salda al 60 per cento nei sondaggi, sarebbe di guadagno per pochi. Ma c’è chi lavora nell’ombra, crea o rafforza legami e prova a prepararsi per nuovi scenari, ipotizzando cali di consensi o nuovi schemi di maggioranza. Il nemico palese è sempre lui, quello che di fatto siede già dalla parte di chi comanda, ma non per questo si risparmia in polemiche e sconfessioni pubbliche: Matteo Renzi. Da inizio crisi si fa portavoce di chi vuole “riaprire tutto, riaprire subito” e lo fa fino al punto di prendersela con gli scienziati (l’ultima trovata è state definire “follia” il report dell’Iss che ha convinto il governo ad andare prudente).
Vicini a Renzi nello spirito – come capita spesso – ci sono le opposizioni, con il fronte del centrodestra che si sfalda a ogni curva: di fatto non ha mai accettato il richiamo alla concordia di Sergio Mattarella e contesta Conte come in tempi di pace. A spingerli c’è sicuramente il partito di chi pretende le riaperture: industriali, e quindi Confindustria, in primis. Per loro la fase 2 è troppo “lenta”, il premier ha “uno spirito antindustriale” e se andiamo avanti non ci sarà possibilità di risollevarsi. Dietro a ruota i principali quotidiani che danno spazio ai picconatori e chi, tra le righe, sogna l’avvento di un nuovo governo per la ricostruzione. Un’operazione ad altissimo rischio, soprattutto se fatta con il premier che resta in vetta nelle classifiche sulla fiducia nei leader. Eppure le operazioni per un governissimo sono appena cominciate (o non sono mai finite).
Logorare il governo sfruttando le proteste – Già alcune settimane fa, era iniziata a circolare nei retroscena dei giornali l’ipotesi di un nuovo premier per traghettare il Paese nelle fasi post emergenza. Il più acclamato è sempre lui: Mario Draghi, anche se resta un mistero come le destre sovraniste (tranne Fi) potrebbero digerirlo (e anche come lui potrebbe accettare una maggioranza così variopinta e niente affatto plebiscitaria). Lo scenario è così poco probabile che i promotori sanno che il primo trucco perché diventi verosimile è fare in modo che se ne parli il più possibile. Lo spunto questa volta è arrivato dalla conferenza stampa del premier di domenica 26 aprile: consapevoli tutti che una ripartenza come ce la si era sognata è impossibile, sono iniziate le proteste delle fasce del Paese più in difficoltà. Un’occasione d’oro per tutti quei politici che soffrono nell’ombra senza più telecamere e occasioni per mostrarsi al Paese. La fiammata è partita lunedì: i fan del governissimo (un arco parlamentare che va dai renziani a Fratelli d’Italia passando per Fi e Lega) si sono prima messi a fianco dei commercianti insoddisfatti e poi del ritorno delle messe alleati della Cei. C’è voluto l’intervento del Papa per placare gli animi dei contestatori e richiamare all’ubbidienza: all’improvviso, quella che era la richiesta di gruppi di fedeli, era diventato il punto uno del programma di chi vuole la testa di Conte.
Renzi contro tutti a qualsiasi costo – Archiviato l’incidente con i cattolici, i promotori del governissimo se la sono presa con gli scienziati. Renzi è arrivato perfino a dire che l’Istituto superiore di sanità, mettendo in guardia sul nuovo rischio affollamento delle terapia intensive, “vuole seminare il panico”. Un altro po’ e li avrebbe chiamati “gufi” o “professoroni”, come un tempo amava definire i suoi nemici. L’ex premier ha capito che per differenziarsi deve portare avanti la battaglia del riaprire a qualsiasi costo e per lui non c’è dato scientifico che tenga. Così prima, in piena crisi, ha firmato un decalogo condannato da qualsiasi parere autorevole (perfino da uno che era stato suo alleato come Burioni), poi, alla vigilia della fase 2, ha rilasciato un’intervista a Repubblica definendo “uno scandalo costituzionale” il decreto del presidente del Consiglio sulle ripartenze. Ecco, come in molti non hanno potuto non ricordare, il Renzi che chiede centralità di Camera e Senato è lo stesso Renzi che tre anni e mezzo fa voleva cambiare nel profondo la Costituzione puntando a un Parlamento snello per andare più veloci (col Senato svuotato di parecchi poteri). Il colloquio è del 28 aprile e, ancora una volta, è servito a Renzi per minacciare crisi di governo e intestarsi un ipotetico (e lontano) colpo di mano. Cos’è successo dopo? Niente. Ma intanto, scrive sempre Repubblica, il senatore si sente frequentemente con Gianni Letta e Matteo Salvini. Insomma nei sondaggi a stento regge sopra il 2 per cento, ma a preoccuparlo ora (ben consapevole che le urne sono molto lontane) sono le relazioni di palazzo, quelle che potrebbero permettere un non definito cambio di scena.
Il centrodestra senza bussola e Confindustria alle calcagna – Per il centrodestra la faccenda è ben più complicata. Da una parte Salvini e i suoi spingono per aprire in fretta e dare risposto a tutto quel mondo di imprenditori che vogliono continuare a rappresentare. Essere alla guida della Regione più colpita, la Lombardia, di certo non aiuta nei sondaggi e quel -7 (per alcuni -9 per cento) di consensi per Matteo Salvini è un duro colpo che a fatica finge di non aver accusato. “Le manovre per cambiare governo? Sono bufale”, ha detto oggi a Italia 7 Gold. “Secondo lei con l’emergenza della disoccupazione, della cassa integrazione e della famiglie che non arrivano a fine mese facciamo manovre politiche? Siamo seri”. La verità è che il leghista si muove su più fronti. Difficile pensare che un governissimo (mettiamo pure con Draghi al comando) possa andargli bene, però se sta fermo precipita nei sondaggi. Allora si barcamena tra una campagna contro il ricorso al Mes, che però è già stata disinnescata dal premier stesso con il giuramento in diretta nazionale che non sarà utilizzato, e appelli per sostenere le attività economiche del Paese. A quali regole e quali costi, anche per la stessa Lombardia, non è dato sapere. Quindi: “Io oggi mi prenderei la responsabilità di riaprire in sicurezza”, ha detto nei giorni scorsi su Rete4. “Basta autocertificazioni, stop burocrazia”. Insomma, liberi tutti e fiducia agli italiani. Con gli alleati la Lega ha firmato una mozione perché “il governo ripristini le libertà costituzionalmente garantite”, che di fatto però non sono mai state messe in discussione. Ma il problema per il centrodestra è che in fondo, dentro la coalizione, si va in ordine sparso: ieri Fdi era in piazza contro il governo, ma senza Fi e Lega. Per non parlare di Forza Italia che sostiene il governo in Europa e guarda alle mosse di Renzi con grande attenzione e simpatia. Insomma, un gran casino.
Su una cosa però sono tutti d’accordo: c’è da tenere buona Confindustria che, non voleva le zone rosse al momento del picco di morti e contagi, figuriamoci se è disposta ora ad accettare le indicazioni degli esperti. Contestano tutto, senza possibilità di mediazione. “E’ da cinque settimane che personalmente chiedo quale sia il metodo per arrivare alla riapertura e ancora oggi non mi è stata data risposta”, ha detto domenica scorsa il neopresidente Carlo Bonomi su Rai3, tradendo giudizi non proprio idilliaci sulla linea del governo. “Nessuno sta progettando la fase 3 degli investimenti”. Anzi. Secondo Bonomi “questo voler contrapporre salute e lavoro non è mai stato nelle nostre corde” e su questi temi “percepisco un sentimento fortemente anti-industriale“. Un’insoddisfazione su tutta la linea che il centrodestra vuole cavalcare.
Il Pd ha paura delle trappole – In tutto questo gli alleati che sostengono Conte cercano di non stare in balia delle correnti. Chi guarda con preoccupazione ai giochi di palazzo è sicuramente il Partito democratico. Perché è vero che i dem sono diventati i principali sostenitori del premier leader, ma non vogliono farsi trovare impreparati nel caso in cui cambiasse il vento. Così mentre chi lavora per indebolire il governo gridava “alla riapertura di massa”, anche Nicola Zingaretti si è lasciato scappare qualche “si può fare più in fretta”. Salvo poi ritornare sui suoi passi. Si era semplicemente messo in scia con il suo presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonacini, che alle richiese delle imprese è sempre molto attento. E non era solo, con Andrea Marucci a chiedere rapidità come un Renzi qualsiasi. Per prendere tempo ed evitare di bruciarsi troppo, nel Pd ora c’è chi lavora per un maggiore coinvolgimento del Parlamento. Lo ha detto Graziano Delrio, sempre a Repubblica, si “torni in Parlamento” a discutere. Il dem (ed ex renziano) Stefano Ceccanti ha già agito: ha proposto che tutti i Dpcm passino dall’Aula una settimana prima, così non potranno dire che fa tutto il premier e anche il potere del presidente del Consiglio sarà un po’ ridimensionato. Il governo è contrario (e la questione resta molto difficile da realizzare in tempi di emergenza), ma il dibattito è più esteso di quello che sembra sia nel Pd che in Leu e Italia viva. Insomma Conte ora va bene, mette la faccia dove molti non vorrebbero, ma a parte i 5 stelle in quanti saranno pronti a seguirlo fino in fondo? Il timore è che la popolarità abbia una scadenza e che la crisi economica a cui va incontro il Paese lasci a brandelli chiunque è al governo. Su quella paura lavorano i fan del governissimo.