C’è un particolare interessante che rivela l’umore di Donald Trump in questi giorni. Nei suoi ultimi tweet, oltre a dirigere la sua rabbia contro New York Times, CNN e gli altri media che gli sono tradizionalmente avversi, il presidente se l’è presa con Fox News, che starebbe facendo da altoparlante alle idee dei democratici. La furia di Trump contro Fox arriva sino a chiedere un’alternativa davvero conservatrice alla tv che l’ha deluso. Non fa alcun nome, il presidente, ma è chiaro dove guarda. A OAN (One America News Network), che negli ultimi tempi si è dimostrata particolarmente incline a corteggiare la Casa Bianca e a osservarne l’ortodossia.
L’episodio è interessante perché fotografa tensioni e difficoltà all’interno del mondo conservatore – e i timori che si stanno allungando sul futuro di Trump e dei repubblicani. Tutti i sondaggi di questi giorni mostrano un netto declino nel grado di soddisfazione degli americani per come Trump sta guidando la lotta al Covid-19. Una recente rilevazione Wall Street Journal/Nbc News mostra che soltanto il 36 per cento degli intervistati crede a quello che Trump dice sul coronavirus; con un margine di 9 punti, Biden viene considerato una (possibile) miglior guida per fronteggiare la crisi. Polemiche sulla mancanza di adeguati equipaggiamenti sanitari, carenza di tamponi, quotidiani scontri con le autorità statali hanno pesantemente incrinato la percezione della risposta di Trump all’emergenza. L’ultimo sondaggio Usa Today/Suffolk University Poll sancisce la curva discendente. Nello scontro per la presidenza, Joe Biden è in vantaggio su Trump di 6 punti: 44 contro 38 per cento. In altre parole, quello che non hanno fatto il Russiagate e le altre decine di scandali in cui è stata coinvolta la Casa Bianca, lo sta facendo il Covid-19.
Ci sono poi altri segnali particolarmente negativi per la Casa Bianca. I briefing quotidiani sul Covid-19, che sinora Trump ha usato come comizi elettorali in cui attaccare i nemici – Biden e i democratici “nullafacenti”, la stampa, i governatori, la Cina, l’Oms– si sono trasformati in un vero e proprio incubo per i collaboratori del presidente. Trump parla troppo – anche due ore – e spesso parla a vanvera. Il recente consiglio dato in conferenza stampa ai medici di indagare qualcosa che possa, come i raggi ultravioletti o un disinfettante, “avere effetti benefici sui polmoni” colpiti dal coronavirus, è solo l’ultimo episodio di una serie di gaffe e dichiarazioni strampalate: dalla proclamazione dei poteri assoluti che Trump ha rivendicato per sé (per poi fare rapida marcia indietro) sino all’esaltazione di un farmaco anti-malarico senza alcuna prova scientifica nella cura del Covid-19.
“Il presidente dovrebbe parlare soltanto quando ha qualcosa da dire, altrimenti lasci il compito degli aggiornamenti quotidiani ai suoi team sanitari ed economici”, ha detto Jason Miller, ex consulente di Trump ai tempi della campagna elettorale. Travolto da polemiche e attacchi, e consigliato dai suoi principali collaboratori, il presidente ha cancellato i briefing dello scorso week-end. Il silenzio stampa è però durato pochissimo. Lunedì Trump era di nuovo davanti ai giornalisti, insieme ai CEO di società che operano nel settore sanitario e a Deborah Birx, che coordina la task force della Casa Bianca sul virus. Rispetto al passato, questa conferenza stampa è durata meno (solo un’ora) ed è parsa più strutturata, meno in balia delle uscite estemporanee di Trump. Anche in questa occasione il presidente Usa ha però soffiato sul fuoco di accuse, rivendicazioni, minacce, sollevando nuovi dubbi e riserve tra i suoi stessi sostenitori. “Devi vendere speranza alla gente – ha detto Tom Cole, un deputato repubblicano dell’Oklahoma – ma Trump troppo spesso vende rabbia, divisione, vittimismo”.
Fosse solo una questione di conferenze stampa, non sarebbe comunque così grave. Il fatto è che molti repubblicani si rendono conto che le chance di rielezione di Trump si fanno di settimana in settimana più esigue. Non c’è soltanto la gestione poco felice dell’emergenza sanitaria. Ci sono i 26 milioni di posti di lavoro persi dallo scoppio della crisi. C’è un’economia che si inabissa, con scarse possibilità di riprendere quota prima della campagna presidenziale. Ovviamente Trump non è direttamente responsabile del disastro. Ma i repubblicani tornano con la memoria a quanto successe nel 2008, quando la stanchezza per la guerra in Iraq e gli effetti della recessione globale condussero il partito a una sconfitta bruciante. È vero che in queste settimane il messaggio elettorale di Trump è cambiato: non è più l’uomo che ha portato ricchezza all’America, è l’uomo che può restaurare quella ricchezza. “Abbiamo costruito la più grande economia nel mondo; lo farò per una seconda volta”, ha proclamato a inizi aprile. I dubbi però non mancano. Cosa succederà di questa promessa di nuova rinascita se a ottobre ci si troverà ancora con milioni di disoccupati, aziende al collasso, magari una seconda ondata di Covid-19?
Le aspettative di molti repubblicani sono state gelate due settimane fa dall’arrivo di una ricerca riservata commissionata dal Republican National Committee in 17 Stati, che mostra come Trump arranchi dietro Joe Biden in buona parte degli swing states – e come in particolare il Wisconsin appaia ormai probabilmente perduto a vantaggio dei democratici. Ci sono poi i sondaggi quotidianamente prodotti da società di ricerca e dai media, che mostrano una forte sofferenza del candidato repubblicano in Pennsylvania, in Michigan, persino in Florida, che è diventata lo Stato di residenza di Trump e che deve essere assolutamente vinta se i repubblicani vogliono tenere la Casa Bianca. È vero che si tratta al momento di sondaggi e che nel 2016, come sappiamo, molti di questi davano ampiamente favorita Hillary Clinton. Ma è anche vero che questi numeri contribuiscono a diffondere un senso di disagio nemmeno troppo sottile tra le file del partito repubblicano.
Con questo non si vuole dire che Biden sia a questo punto il favorito di novembre. Sul candidato democratico pesano una serie di incognite che alla fine potrebbero rivelarsi pesanti limiti strutturali. Biden è rinchiuso a casa sua in Delaware, alternando sedute di pesi per mantenersi in forma e apparizioni in streaming nelle varie trasmissioni TV. Sinora non sembra essere riuscito a modulare un messaggio chiaro per fronteggiare l’emergenza sanitaria – né il programma democratico per i prossimi quattro anni, oscillante tra progressisti e centristi, tra l’establishment del partito e gli eredi di Sanders, tra le diverse spinte nella scelta della vice presidente, appare particolarmente definito. Sui democratici grava anche un’altra minaccia: l’enorme forza finanziaria che la campagna di Trump è pronta a dispiegare. Il presidente e il Republican National Committee hanno un vantaggio di 187 milioni di dollari sugli sfidanti: un divario che le migliaia di piccole donazioni che piovono su Biden non saranno mai capaci di azzerare.
Trump è quindi tutt’altro che bruciato. Per lui è però iniziata una fase difficile, turbolenta, dagli esiti imprevedibili. Lo stesso, verrebbe da dire, vale per il partito repubblicano, che in questi anni ha finito per identificarsi anima e corpo con il suo presidente e che ora rischia di affondare con lui – perdendo alle prossime elezioni il controllo del Senato. Lo stop ai briefing quotidiani di Trump ha quindi questo significato. Evitare clamorosi passi falsi. Rimodulare il messaggio. Attendere tempi migliori. Nella speranza che, da qui a ottobre/novembre, l’America abbia superato la fase peggiore dell’incubo.
Mondo
Coronavirus, il declino di Trump nei sondaggi. I dubbi dei Repubblicani sulla rielezione alla Casa Bianca, appesa al rilancio dell’economia
Solo il 36% degli americani è soddisfatto della gestione dell'emergenza da parte del presidente che, nel frattempo, deve fare fronte a 26 milioni di posti di lavoro persi e a un'economia che si inabissa. E a sei mesi dalle elezioni il partito teme che le chance per il secondo mandato siano esigue, visto che il presidente arranca dietro Joe Biden in buona parte degli swing states, cioè quelli "in bilico"
C’è un particolare interessante che rivela l’umore di Donald Trump in questi giorni. Nei suoi ultimi tweet, oltre a dirigere la sua rabbia contro New York Times, CNN e gli altri media che gli sono tradizionalmente avversi, il presidente se l’è presa con Fox News, che starebbe facendo da altoparlante alle idee dei democratici. La furia di Trump contro Fox arriva sino a chiedere un’alternativa davvero conservatrice alla tv che l’ha deluso. Non fa alcun nome, il presidente, ma è chiaro dove guarda. A OAN (One America News Network), che negli ultimi tempi si è dimostrata particolarmente incline a corteggiare la Casa Bianca e a osservarne l’ortodossia.
L’episodio è interessante perché fotografa tensioni e difficoltà all’interno del mondo conservatore – e i timori che si stanno allungando sul futuro di Trump e dei repubblicani. Tutti i sondaggi di questi giorni mostrano un netto declino nel grado di soddisfazione degli americani per come Trump sta guidando la lotta al Covid-19. Una recente rilevazione Wall Street Journal/Nbc News mostra che soltanto il 36 per cento degli intervistati crede a quello che Trump dice sul coronavirus; con un margine di 9 punti, Biden viene considerato una (possibile) miglior guida per fronteggiare la crisi. Polemiche sulla mancanza di adeguati equipaggiamenti sanitari, carenza di tamponi, quotidiani scontri con le autorità statali hanno pesantemente incrinato la percezione della risposta di Trump all’emergenza. L’ultimo sondaggio Usa Today/Suffolk University Poll sancisce la curva discendente. Nello scontro per la presidenza, Joe Biden è in vantaggio su Trump di 6 punti: 44 contro 38 per cento. In altre parole, quello che non hanno fatto il Russiagate e le altre decine di scandali in cui è stata coinvolta la Casa Bianca, lo sta facendo il Covid-19.
Ci sono poi altri segnali particolarmente negativi per la Casa Bianca. I briefing quotidiani sul Covid-19, che sinora Trump ha usato come comizi elettorali in cui attaccare i nemici – Biden e i democratici “nullafacenti”, la stampa, i governatori, la Cina, l’Oms– si sono trasformati in un vero e proprio incubo per i collaboratori del presidente. Trump parla troppo – anche due ore – e spesso parla a vanvera. Il recente consiglio dato in conferenza stampa ai medici di indagare qualcosa che possa, come i raggi ultravioletti o un disinfettante, “avere effetti benefici sui polmoni” colpiti dal coronavirus, è solo l’ultimo episodio di una serie di gaffe e dichiarazioni strampalate: dalla proclamazione dei poteri assoluti che Trump ha rivendicato per sé (per poi fare rapida marcia indietro) sino all’esaltazione di un farmaco anti-malarico senza alcuna prova scientifica nella cura del Covid-19.
“Il presidente dovrebbe parlare soltanto quando ha qualcosa da dire, altrimenti lasci il compito degli aggiornamenti quotidiani ai suoi team sanitari ed economici”, ha detto Jason Miller, ex consulente di Trump ai tempi della campagna elettorale. Travolto da polemiche e attacchi, e consigliato dai suoi principali collaboratori, il presidente ha cancellato i briefing dello scorso week-end. Il silenzio stampa è però durato pochissimo. Lunedì Trump era di nuovo davanti ai giornalisti, insieme ai CEO di società che operano nel settore sanitario e a Deborah Birx, che coordina la task force della Casa Bianca sul virus. Rispetto al passato, questa conferenza stampa è durata meno (solo un’ora) ed è parsa più strutturata, meno in balia delle uscite estemporanee di Trump. Anche in questa occasione il presidente Usa ha però soffiato sul fuoco di accuse, rivendicazioni, minacce, sollevando nuovi dubbi e riserve tra i suoi stessi sostenitori. “Devi vendere speranza alla gente – ha detto Tom Cole, un deputato repubblicano dell’Oklahoma – ma Trump troppo spesso vende rabbia, divisione, vittimismo”.
Fosse solo una questione di conferenze stampa, non sarebbe comunque così grave. Il fatto è che molti repubblicani si rendono conto che le chance di rielezione di Trump si fanno di settimana in settimana più esigue. Non c’è soltanto la gestione poco felice dell’emergenza sanitaria. Ci sono i 26 milioni di posti di lavoro persi dallo scoppio della crisi. C’è un’economia che si inabissa, con scarse possibilità di riprendere quota prima della campagna presidenziale. Ovviamente Trump non è direttamente responsabile del disastro. Ma i repubblicani tornano con la memoria a quanto successe nel 2008, quando la stanchezza per la guerra in Iraq e gli effetti della recessione globale condussero il partito a una sconfitta bruciante. È vero che in queste settimane il messaggio elettorale di Trump è cambiato: non è più l’uomo che ha portato ricchezza all’America, è l’uomo che può restaurare quella ricchezza. “Abbiamo costruito la più grande economia nel mondo; lo farò per una seconda volta”, ha proclamato a inizi aprile. I dubbi però non mancano. Cosa succederà di questa promessa di nuova rinascita se a ottobre ci si troverà ancora con milioni di disoccupati, aziende al collasso, magari una seconda ondata di Covid-19?
Le aspettative di molti repubblicani sono state gelate due settimane fa dall’arrivo di una ricerca riservata commissionata dal Republican National Committee in 17 Stati, che mostra come Trump arranchi dietro Joe Biden in buona parte degli swing states – e come in particolare il Wisconsin appaia ormai probabilmente perduto a vantaggio dei democratici. Ci sono poi i sondaggi quotidianamente prodotti da società di ricerca e dai media, che mostrano una forte sofferenza del candidato repubblicano in Pennsylvania, in Michigan, persino in Florida, che è diventata lo Stato di residenza di Trump e che deve essere assolutamente vinta se i repubblicani vogliono tenere la Casa Bianca. È vero che si tratta al momento di sondaggi e che nel 2016, come sappiamo, molti di questi davano ampiamente favorita Hillary Clinton. Ma è anche vero che questi numeri contribuiscono a diffondere un senso di disagio nemmeno troppo sottile tra le file del partito repubblicano.
Con questo non si vuole dire che Biden sia a questo punto il favorito di novembre. Sul candidato democratico pesano una serie di incognite che alla fine potrebbero rivelarsi pesanti limiti strutturali. Biden è rinchiuso a casa sua in Delaware, alternando sedute di pesi per mantenersi in forma e apparizioni in streaming nelle varie trasmissioni TV. Sinora non sembra essere riuscito a modulare un messaggio chiaro per fronteggiare l’emergenza sanitaria – né il programma democratico per i prossimi quattro anni, oscillante tra progressisti e centristi, tra l’establishment del partito e gli eredi di Sanders, tra le diverse spinte nella scelta della vice presidente, appare particolarmente definito. Sui democratici grava anche un’altra minaccia: l’enorme forza finanziaria che la campagna di Trump è pronta a dispiegare. Il presidente e il Republican National Committee hanno un vantaggio di 187 milioni di dollari sugli sfidanti: un divario che le migliaia di piccole donazioni che piovono su Biden non saranno mai capaci di azzerare.
Trump è quindi tutt’altro che bruciato. Per lui è però iniziata una fase difficile, turbolenta, dagli esiti imprevedibili. Lo stesso, verrebbe da dire, vale per il partito repubblicano, che in questi anni ha finito per identificarsi anima e corpo con il suo presidente e che ora rischia di affondare con lui – perdendo alle prossime elezioni il controllo del Senato. Lo stop ai briefing quotidiani di Trump ha quindi questo significato. Evitare clamorosi passi falsi. Rimodulare il messaggio. Attendere tempi migliori. Nella speranza che, da qui a ottobre/novembre, l’America abbia superato la fase peggiore dell’incubo.
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Ultima mossa di Zelensky: “Mi dimetto subito se l’Ucraina può entrare nella Nato”. Il 6 marzo Consiglio europeo straordinario a Bruxelles
Roma, 23 feb. (Adnkronos) - "Gli Emirati Arabi Uniti sono desiderosi di migliorare la cooperazione con il vostro Paese amico, al fine di sostenere la pace e la stabilità in Medio Oriente e nel mondo, soprattutto perché i due Paesi hanno orientamenti comuni in questo senso". Lo ha affermato il presidente degli Emirati Arabi Uniti, Mohamed bin Zayed Al Nahyan, nel brindisi in occasione del Pranzo di Stato offerto al Quirinale dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
"Sono fiducioso -ha aggiunto- che i risultati di questa visita avranno un grande impatto nel far progredire le nostre relazioni in vari campi, alla luce della volontà comune di continuare a lavorare per sviluppare queste relazioni a beneficio dei due Paesi e dei due popoli".
Roma, 23 feb. (Adnkronos) - "I nostri Paesi condividono, accanto a una analoga sensibilità per i temi della pace e della cooperazione, una naturale vocazione agli scambi commerciali e apertura agli investimenti. Sono lieto di constatare che la collaborazione bilaterale negli ultimi anni si è notevolmente intensificata. Sono numerose le imprese italiane che operano negli Emirati Arabi Uniti e con esse è in crescita anche la comunità di italiani che nel Suo Paese vive nell’accogliente realtà emiratina". Lo ha affermato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel brindisi in occasione del Pranzo di Stato offerto in onore del presidente degli Emirati Arabi Uniti, Mohamed bin Zayed Al Nahyan.
"Lo sviluppo di idee e investimenti in Italia è benvenuto -ha aggiunto il Capo dello Stato- e queste prospettive saranno opportunamente approfondite nel forum imprenditoriale che si svolgerà domani. Accanto ai settori tradizionali, troveranno certamente posto quelli d’avanguardia e maggiormente proiettati al futuro. Le sfide internazionali passano dalla capacità di affrontare e progettare la transizione energetica che ci vede già collaborare ad ambiziose iniziative, nel quadro della sempre più avvertita consapevolezza che questo sia indispensabile per garantire alle prossime generazioni un futuro che, per essere prospero, dovrà essere sostenibile".
"Abbiamo, con questa consapevolezza, collaborato con il suo Paese -ha ricordato il Presidente della Repubblica- per il raggiungimento dell’accordo sul clima, sancito dalla Cop28 di Dubai che, per la prima volta, richiama esplicitamente la necessità di avviare una transizione dai combustibili fossili".
"Quella tra Emirati Arabi Uniti e Italia è una agenda ricca di opportunità. Penso allo sviluppo del continente africano, che ha tante implicazioni anche per la sua stabilità e per la vita della comunità internazionale. Penso al tema dello spazio. A quello dell’intelligenza artificiale".
"Abu Dhabi e Roma -ha concluso Mattarella- avvertono la responsabilità di contribuire, in una fase così confusa e convulsa della vita internazionale, a fare prevalere una visione incentrata sul valore del dialogo, su uno sviluppo equilibrato e sulla tenace costruzione di relazioni positive fra gli Stati".
Roma, 23 feb. (Adnkronos) - "Il Mediterraneo e la regione del Medio Oriente vivono oggi un periodo di più accentuata instabilità e di profonde sofferenze. In questi tempi difficili, Emirati Arabi Uniti e Repubblica italiana hanno lavorato insieme per promuovere la pace. Abbiamo condannato con fermezza il disumano e vile attacco terroristico del 7 ottobre da parte di Hamas –che rinnova atrocità con il crudele spettacolo nella consegna degli ostaggi sopravvissuti e dei corpi di quelli uccisi- e abbiamo esercitato in questi mesi ogni sforzo perché le violenze del conflitto che vi ha fatto seguito -che hanno afflitto gravemente i civili- avessero fine. Oggi l’impegno non può che essere diretto a evitare una ripresa dei combattimenti, a tenere aperto il filo dei colloqui faticosamente costruito in questi mesi, a rimuovere i sedimenti di rancore". Lo ha affermato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel brindisi in occasione del Pranzo di Stato offerto in onore del presidente degli Emirati Arabi Uniti, Mohamed bin Zayed Al Nahyan.
"Il ritorno alle ostilità -ha proseguito il Capo dello Stato- non è foriero né di sicurezza futura per Israele, né, tantomeno, di soluzioni per il popolo palestinese, che versa, a Gaza, in condizioni drammatiche. Con ostinazione va ripetuto che il perseguimento della prospettiva due popoli-due Stati resta l’unica in grado di garantire una pace condivisa e sostenibile. Con grande apprezzamento desidero sottolineare lo straordinario aiuto umanitario degli Emirati Arabi Uniti in favore della popolazione di Gaza. È un impegno -quello per salvare vite umane, prestare soccorso ai feriti- che ci ha visto, ancora una volta, lavorare con orgoglio fianco a fianco".
Roma, 23 feb. (Adnkronos) - Alla vigilia della gara di campionato con il Monza e dopo il passaggio agli ottavi in Europa League, la Roma ha annunciato che "Niccolò Pisilli ha rinnovato il proprio contratto con il Club fino al 30 giugno 2029".
"Classe 2004, il centrocampista -fiore all’occhiello del settore giovanile giallorosso- è diventato rapidamente un punto di forza della Prima Squadra collezionando 34 presenze complessive (e 4 gol segnati) tra Serie A, Europa League e Coppa Italia", spiega la Roma.
Roma, 23 feb. (Adnkronos) - Le Associazioni dei pazienti "hanno collaborato alla stesura del policy paper di Ovarian Cancer Commitment (Occ) che si articola in sei punti: come Associazione nazionale che sostiene i portatori di mutazione dei geni Brca e le loro famiglie, due di questi ci stanno particolarmente a cuore e sono il riconoscimento dei Pdta (Percorso diagnostico terapeutico assistenziale) per le donne ad alto rischio cancro all’ovaio in tutte le Regioni e l’estensione dell’esenzione D99 per le persone portatrici di tumore ovarico in tutte le Regioni. Allo stato attuale soltanto 8 regioni su 20 hanno approvato il Pdta, e soltanto 10 hanno approvato l’esenzione, quindi vuol dire che ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B ancora oggi nel 2025". Così Ornella Campanella presidente aBRCAdabra in occasione della presentazione delle attività dell'Ovarian Cancer Commitment, nel 26esimo congresso della Società europea di oncologia ginecologica (Esgo) che si è chiuso oggi a Roma.
Per Campanella è importante anche "il riconoscimento della chirurgia di riduzione del rischio all’interno di Lea che ad oggi non c’è – spiega - nonostante si sia ampiamente dimostrata come l’unica strategia in grado di prevenire il cancro all’ovaio nelle donne a rischio in quanto portatrici di mutazione dei geni Brca".
Roma, 23 feb. (Adnkronos) - Igino Rugiero, ex Commissario Straordinario dell’Unione Italiana Tiro a Segno (Uits) nel 2019, è uno dei tre candidati alla presidenza dell’ente pubblico e Federazione Sportiva, insieme all’ex presidente Costantino Vespasiano e all’ex atleta Valentina Turisini. Con una lunga carriera militare alle spalle svolta per molto tempo presso le più alte Istituzioni dello Stato, e con profonda passione e conoscenza delle dinamiche interne della Uits, Rugiero si presenta con un programma ambizioso e una visione chiara per il futuro dell’organizzazione che, nel caso fosse eletto, siano al servizio delle Sezioni Tsn e dello Sport e non il contrario.
Rugiero ha intrapreso un tour in tutte le regioni italiane per incontrare gli elettori, non solo per presentare il suo programma, ma anche per farsi conoscere personalmente. “Sto girando praticamente in tutte le regioni e dove non mi è possibile andare cerco di contattare personalmente i presidenti delle Sezioni di Tiro a Segno Nazionale per mettere in condizione, democraticamente, gli elettori di conoscermi non soltanto dal punto di vista programmatico che espongo ovunque io vada, ma anche perchè ritengo che il contatto reale e il guardarsi negli occhi mentre ci si confronta sia un valore aggiunto che potrebbe fare la differenza, nel bene e nel male, nelle scelte dei singoli elettori”, ha dichiarato Rugiero all’Adnkronos.
"Questo approccio mira a rispondere alle molte domande e curiosità dei Presidenti e a spiegare loro le ragioni delle spiacevoli situazioni createsi negli ultimi mesi che avevano messo in dubbio non solo la possibilità di andare ad elezioni, ma in particolare avevano destabilizzato le Sezioni di Tsn che si erano viste cadere addosso all’improvviso, senza essere mai state informate dalla Presidenza, la possibilità della approvazione di un emendamento, fortunatamente ora svanita, che avrebbe praticamente distrutto e messo in discussione la sopravvivenza di moltissime delle stesse Sezioni su tutto il territorio nazionale".
Il candidato alla presidenza sottolinea poi l’importanza di un cambiamento politico per migliorare la gestione dell’ente. “L’obiettivo di oggi, indipendentemente dalle tante cose che dovremmo iniziare a fare tutti insieme domani, è ricucire i necessari rapporti con gli Enti Vigilanti e le Istituzioni dello Stato che si sono persi nel tempo a causa di una gestione superficiale ed approssimativa molto fumosa e poco concreta”, ha affermato, riferendosi alla ultima Governance dell’Ente Pubblico e Federazione Sportiva. Rugiero ritiene che “mai come oggi la Uits ha la possibilità di guardare al futuro con ottimismo e visione pragmatica di risoluzione dei tanti temi da affrontare che da troppi anni ormai si porta avanti, il prossimo 15 e 16 marzo ad Ostia, gli elettori chiamati per scegliere il prossimo Presidente Nazionale ed il nuovo Consiglio della Uits avranno la grande opportunità di “cambiare” e di iniziare un nuovo percorso di rinascita che possa ridare alla Uits la dignità ed il riconoscimento istituzionale e sportivo che merita. Le Istituzioni tutte e lo Sport ce lo hanno praticamente chiesto facendocelo capire con i fatti, a noi tutti noti”.
Una delle sfide principali che Rugiero intenderebbe affrontare è quella di finalmente riaprire realmente, e non solo a parole, la collaborazione con il Genio Infrastrutture dell’Esercito per riportare armonia tra le parti e tracciare un percorso di confronto per risolvere le problematiche che purtroppo negli ultimi anni hanno messo in difficoltà molte Sezioni Tsn provocandone addirittura in alcuni casi la chiusura. Il suo programma prevede un percorso di risanamento e rinnovamento anche dell’aspetto sportivo a lui molto caro che riparta dalla promozione dello Sport del Tiro a Segno verso le scuole, verso i giovani e quindi verso le loro famiglie per far capire che questo è uno sport inclusivo, efficace e socialmente importante.
“Bisogna contrastare le percezioni negative legate a episodi di cronaca, bisogna far capire alle famiglie che il nostro è uno sport che può offrire ai giovani, e quindi ai loro figli, un contesto formativo e sicuro ed allo stesso tempo lontano dall’eccesso di distrazioni tecnologiche”. Con una visione chiara e un programma dettagliato, Igino Rugiero si propone come un candidato determinato a guidare l’Unione Italiana Tiro a Segno verso un futuro di rinnovamento e crescita, “Da soli si fallisce, uniti si vince”, il suo motto.
Roma, 23 feb. (Adnkronos Salute) - "La ricerca sta andando avanti spedita soprattutto dal punto di vista genetico e quindi tutta la tematica dei test molecolari è fondamentale. Oggi parliamo e sollecitiamo la rimborsabilità del test Hrd ma c’è già chi sta facendo delle proposte per la rimborsabilità non più riferita al singolo gene, come avvenuto per il Brca, ma a pannelli multigenici, che permettono di analizzare da 30 fino a 500 pannelli di geni. È una nuova prospettiva con cui guardare alle mutazioni e alla complementarietà tra test genomici e genetici e alla loro indispensabilità. L’accesso equo a test molecolari che permettono di definire la terapia su misura di ogni paziente e la possibilità di essere curate nei centri di riferimento di alta specialità, che eseguono un elevato numero di interventi chirurgici all’ovaio, non sono ancora una realtà in Italia". Lo ha detto Nicoletta Cerana presidente Acto Italia Alleanza Contro il Tumore Ovarico ETS in occasione della presentazione delle attività dell'Ovarian Cancer Commitment, nel 26esimo congresso della Società europea di oncologia ginecologica (Esgo) che si è concluso oggi a Roma.