Papa Bergoglio non abbocca. Non gli sono piaciuti gli improvvisi slanci di fervore religioso che alcuni politici hanno esibito invocando “messa subito” per obiettivi che nulla hanno a che fare con la fede. Il suo appello alla “prudenza e all’obbedienza alle disposizioni perché l’epidemia non torni” non è stato solo un invito al buon senso, perché un atteggiamento da “liberi tutti” provocherebbe sicuramente un inasprirsi dell’epidemia. E’ stato soprattutto un segnale politico.
Da tempo Francesco rifiuta l’uso grossolano e strumentale delle religione praticato da Matteo Salvini. Quel suo mettersi a recitare la preghiera con Barbara d’Urso alla televisione con la stessa disinvoltura con cui assisteva al Papeete alle cubiste che saltellavano al suono dell’inno “Fratelli d’Italia”. Non è sfuggito al Papa che il leader della Lega, chiedendo con insistenza a inizio mese che si celebrassero le messe di Pasqua, intendeva riunire intorno a sé le forze cattoliche ultra-conservatrici tese a trovare ogni pretesto per accusare il pontefice di tradimento e disattenzione verso i fondamenti della Chiesa.
Né Bergoglio guarda con favore alle sparate di Matteo Renzi e quel suo urlare esibitamente “Io voglio tornare a prendere messa… non si possono calpestare i diritti costituzionali”. Dietro al grido concitato e propagandato di chi rivuole la messa, il papa argentino ha intravisto altro.
Con la Cei non c’è nessuno screzio. La Segreteria di Stato aveva appoggiato la richiesta dell’episcopato italiano che unitamente alla riapertura delle fabbriche si regolamentasse anche la frequenza alle messe. Se si distanziano gli addetti di un’azienda, si possono ben distanziare ragionevolmente 50 persone in una chiesa deserta. Magari l’Avvenire, il giornale dei vescovi, poteva evitare di evocare in un suo articolo il “Leviatano”, il fantasma dello stato totalitario che schiaccia il sentimento religioso e le libertà. Ma sulla sostanza, cioè la regolamentazione di un nuovo accesso alle messe, i cardinali Pietro Parolin (Segreteria di Stato) e Gualtiero Bassetti (presidenza Cei) hanno agito in piena sintonia con il Papa.
Quello che puzza, invece, al pontefice è il contesto in cui alcune forze politiche agitano la questione dei riti religiosi così come quella del lavoro o del libero movimento. Francesco ha una testa politica. E’ un aspetto della sua personalità su cui concordano tutti quelli che lo hanno visto all’opera a Buenos Aires. Francesco ha capito che da Matteo (Renzi) a Matteo (Salvini) è partita la caccia ai danni del premier Conte. Per farlo cadere. Per sostituirlo con il “Governone”. Il pentolone in cui ci sarebbero tutti, in primis i sovranisti della Lega che non possono sopportare l’idea di stare lontani dalle leve del potere. Il nome di Mario Draghi in questo disegno è solamente una foglia di fico.
Ma un nuovo arrivo al potere dei sovranisti – gli amici di Orban, gli avversari dell’integrazione europea, i volonterosi seguaci della politica di Trump, distruttore di ogni multilateralismo – è esattamente quello che Francesco non vuole. Il papa argentino è convinto che nella stagione del dopo-virus il mondo abbia bisogno di una rafforzata visione del “bene comune”, di ancor più multilateralismo, di ancora più Europa nel senso di una robusta Unione europea, capace di evitare una nuova guerra fredda e di portare a livello internazionale l’idea di una politica sociale solidale e inclusiva.
Francesco sa benissimo che ambienti economici, a partire dalla nuova Confindustria, e alcuni settori del mondo politico aspirano al “Governone” e accarezzano i sovranisti. Francesco sa benissimo che anche in ambienti ecclesiali c’è chi rema nella stessa direzione. Come il cardinale Camillo Ruini, ex presidente della Cei, che a novembre in una intervista al Corriere della Sera sosteneva che non bisogna demonizzare Salvini, ma anzi puntare su una sua “maturazione”. E che perciò ha subito accettato di incontrare il leader della Lega dopo l’intervista. A livelli così alti della gerarchia ecclesiastica, dove l’arte dei segnali è di una raffinatezza calligrafica, nulla succede mai per caso.
Francesco questo non lo vuole. Perciò, al di là delle giuste considerazioni sanitarie, ha deciso di dare un pubblico assist al premier Giuseppe Conte, sottolineando il valore dell’ “ubbidienza alle disposizioni” del governo. Il papa argentino, d’altronde, subito dopo la rottura dell’alleanza tra pentastellati e Lega (quando Conte era appena incaricato di formare il nuovo governo) volle dimostrativamente un colloquio personale con lui in occasione dei funerali del cardinale Silvestrini alla fine dell’agosto 2019. E ancora a marzo, nel pieno della difficile gestione della crisi, Francesco ha ricevuto in Vaticano per una udienza privata il presidente del Consiglio.
Sono segnali chiari. E quando Marco Tarquinio, direttore dell’Avvenire, evoca in un editoriale la “fedeltà all’alleanza tra scienza e politica”, è anche questo un segnale per distanziarsi dal becero vociare di quanti dicono che una non meglio identificata Politica debba decidere al posto delle considerazioni scientifiche e mediche.
Papa Francesco pensa già al dopo. In Vaticano ha istituito presso il dicastero dello “Sviluppo umano integrale” una commissione incaricata di analizzare le “sfide socio-economiche e culturali” della nuova stagione e di proporre linee guida per affrontarle. In questa visione di una globalizzazione dal volto umano e di costruzione di un sistema, che non sia basato sull’economia finanziaria di rapina, non c’è spazio per l’ossessione sovranista del ‘Prima gli italiani’ o dell’America first. “Prima gli esseri umani”, direbbe il cardinale di Bologna Matteo Zuppi.