Da autorevoli esponenti della Lega arriva una proposta per recidere il nodo gordiano della crisi economica conseguente all’emergenza Covid. La “mozione”, in estrema sintesi, è che la Bce faccia la banca centrale prestatrice illimitata di ultima istanza dei titoli del debito pubblico dei paesi dell’area euro.
È utile verificare se, per caso, questa idea (sicuramente efficace) non vada in senso diametralmente opposto rispetto alle istanze cosiddette sovraniste. Merita, quindi, approfondire una serie di questioni cruciali. Nell’ordine:
1) perché il progetto non può essere realizzato “oggi” a causa di una regola dei trattati vigenti;
2) perché il cambio di tale regola richiederebbe una rivoluzione (sul piano normativo) praticamente inattuabile;
3) perché la regola immodificabile di cui sopra (autolesionistica ed “egoista” al massimo grado) è stata inserita nei trattati;
4) dove ci porterebbe una sua eventuale riscrittura nel senso propugnato dai leghisti.
Partiamo dal primo punto. L’articolo 123 del Trattato di Lisbona (o Tfue, se preferite) vieta tassativamente all’Istituto di Francoforte di “monetizzare” il debito degli Stati. Insomma, la Ue – fin dalla sua costituzione, con il Trattato di Maastricht del 1992 – ha previsto un format in cui è proibito “finanziare” i deficit statali attraverso l’acquisto illimitato (nelle aste primarie) di titoli del debito ad opera della Banca centrale. In altri termini, all’Unione europea è inibito ab initio ciò che possono invece fare il Giappone, il Regno Unito, gli Stati Uniti d’America.
Passiamo, allora, al quesito numero due. Si può cambiare questa regola? In teoria sì, ma solo con l’approvazione unanime di tutti gli Stati membri (articolo 48 del Tue). Ora, ve la immaginate una simile eventualità in un contesto in cui la Germania e i Paesi del Nord non ci concedono neppure gli eurobond (i quali sarebbero possibili anche senza modificare i trattati)? Se non riuscite a immaginarlo è perché è semplicemente impossibile.
Veniamo dunque al terzo interrogativo. Perché, in quel bel dì, hanno voluto una norma come l’articolo 123 del Tfue? La risposta la troviamo in un libro di Michel Foucault (“Nascita della Biopolitica – Corso al Collège de France” 1978-1979 – Ed. Feltrinelli). Ivi, il noto intellettuale “raccontò”, con chiarezza impareggiabile, la quintessenza dei trattati europei, vale a dire il famoso (quanto sovente frainteso) “neoliberismo”: una vera e propria ideologia concepita e articolata in occasione di un “incontro” accaduto nel lontano 1938 a Parigi, e cioè il “Colloquio Lippmann”.
In quella circostanza, alcuni celebri economisti (da Röpke a Von Hayek, da Rustow a Rueff) misero le basi per una rifondazione del liberismo classico (quello del “laissez faire, laissez passer” di Adam Smith, per capirci). La filosofia di fondo del “nuovo” liberismo è che lo Stato, lungi dall’essere estromesso dalle dinamiche economiche, deve però esercitare rispetto ad esse un ruolo minimalista e residuale; limitandosi a scrivere le regole nell’ambito delle quali gli “agenti” economici potranno poi liberamente dispiegare le proprie energie.
Secondo tale logica, le forze del Mercato, la libera concorrenza, la competitività sono più che sufficienti per garantire il “migliore dei mondi possibili”. E tuttavia, esse debbono essere comunque “irregimentate” in un complesso disciplinare in grado di impedire la formazione di monopoli e di imbrigliare prima di tutto, e sopra ogni cosa, proprio l’interventismo statale.
Fine di ogni (ancorché misurata) concezione di Stato pianificatore: di quello Stato, insomma, che conserva ed esercita gelosamente il governo del sistema monetario, la primazia sull’apparato bancario, la possibilità di incidere concretamente nel “gioco” dei mercati; facendo “cose” – per esempio e appunto – come la monetizzazione del debito pubblico.
Veniamo ora all’ultimo aspetto. Ove mai accadesse il miracolo di una modifica della vocazione primigenia della Bce (magari accompagnata anche dalla eliminazione del Fiscal compact) dove arriveremmo? Certamente alla fine dei ricatti dello spread, certamente al tramonto del dominio delle Borse e dei Mercati sulla politica europea. Ma anche a una definitiva eutanasia di ogni velleità statuale sovranista.
La Bce ci potrebbe “rifornire” o “salvare” in ogni momento (con iniezioni a fondo perduto, persino), ma non lo farebbe certo gratis. Bensì, solo al prezzo di una irrevocabile cessione delle residue sovranità nazionali. Le quali, a quel punto, non avrebbero più ragion d’essere. I soldi li metterebbe, alla bisogna e senza limiti, la “Unione” tramite la Bce, ma la stessa Unione si arrogherebbe il conseguente potere di dettare “ogni” linea politica a tutti gli Stati beneficiari, Italia compresa.
Sarebbe la nascita, de facto se non de jure, degli Stati Uniti d’Europa. E sarebbe anche, per dirla con Wilhelm Wundt, uno straordinario caso di eterogenesi dei fini.