Nei blocchi 6 e 7 della Zona economica esclusiva dell'isola già operano le società Eni e Total, aggiudicatrici dei contratti con Nicosia. Provocazioni di Ankara anche sulle isole greche
La chiarezza certo non manca alla politica turca sul dossier energetico: restare agganciati al treno dei copiosi giacimenti di gas presenti nel Mediterraneo orientale, pur contravvenendo palesemente a leggi e trattati internazionali.
Per questa ragione e mentre il mondo intero è fermo per l’emergenza Covid (accanto alla crisi del mercato petrolifero in atto tra russi e sauditi) la Turchia ha inviato la nave perforatrice Yavuz a condurre esplorazioni di idrocarburi nei blocchi 6 e 7 della Zona economica esclusiva di Cipro. I blocchi, come è noto, sono stati concessi in licenza alle società energetiche Eni e Total. Dal 20 aprile scorso Washington è a conoscenza di tale ultima contingenza, anche se le azioni turche sono di fatto reiterate nell’ultimo biennio e coinvolgono direttamente Grecia e Libia. L’ambasciata Usa ad Atene e quella a Nicosia hanno più volte fatto appelli alle autorità turche a interrompere queste operazioni.
Il ministero degli Esteri greco ha accusato la Turchia di comportarsi in un modo “delinquente”, dal momento che ha sfidato le regole internazionali. I leader europei, tra cui spicca il Presidente francese Emmanuel Macron per via della presenza di Total, hanno ripetutamente consigliato ad Ankara di mostrare moderazione. Parigi ha anche inviato una fregata Fremm. I ministri degli affari esteri dell’Ue hanno espresso preoccupazione per l’attività di perforazione della Turchia, per voce di Josep Borrell alto rappresentante agli affari esteri, aggiungendo che si ribadisce la solidarietà a Cipro e Grecia. Ma la risposta di Erdogan resta ferma sul fatto che il suo governo non infrange alcuna regola, invece rivendica per Ankara diritti legittimi e sovrani nel Mediterraneo orientale e addirittura anche nel Mar Egeo.
Sullo sfondo giocano un ruolo le difficoltà delle attività di perforazione nel Mediterraneo dell’est, attualmente ferme, in parte a causa dei problemi logistici di spostamento del personale post pandemia, e in parte per via dei tagli operati dalle compagnie petrolifere dettate dell’enorme calo della domanda di petrolio e gas. Le prime attività di perforazione riprenderanno alla fine del prossimo anno, ma è molto probabile che ci vorrà più tempo, contribuendo a rendere densa di incertezze questa fase geopolitica.
Che le mire di Ankara si siano ampliate da Cipro al resto del Mediterraneo, lo dimostra la doppia mossa di Erdogan tarata su Tripoli e Atene. Con la Libia e il governo di Al Serraj ha raggiunto un accordo per la delimitazione delle acque territoriali, che però “dimentica” l’isola greca di Creta provocando in tal modo una sollevazione politica in seno alle istituzioni Ue oltre che di natura giurisprudenziale. Atene anche per questa ragione ha instaurato un nuovo dialogo con il generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica. Erdogan insiste anche in rivendicazioni assurde sulle isole greche, contravvenendo al Trattato di Losanna. L’attacco arriva dal foglio kemalista Sözcü secondo cui la Grecia occupa “18 isole turche”. Il riferimento è alle isole di Pserimos e Agathonisi. Osserva poi che “nell’Egeo, la Grecia, che occupa 18 isole turche e 2 isolotti turchi, ha armato 16 isole nonostante i trattati”. Dove per “armato” si intende il legittimo intensificarsi delle attività, nazionali ed europee, di pattugliamento dei confini.
Per capire come si stanno intrecciando politica, geopolitica e azioni militari, è utile notare come nella sola giornata di lunedì scorso ci siano state nove violazioni dello spazio aereo nazionale greco nell’Egeo da parte di otto aerei militari turchi, tra cui sette F-16 armati, con cui i Mirage greci hanno anche ingaggiato una battaglia aerea virtuale. In Turchia però l’emergenza è principalmente finanziaria: il tasso di cambio della valuta turca ha infranto la barriera delle sette lire turche per un dollaro. Inoltre il tasso con cui la banca centrale turca brucia le riserve di valuta estera si mescola alla decisione delle autorità di vendere i dollari a loro disposizione per sostenere il tasso di cambio della lira locale.