In vista della Fase 2, l'esecutivo ha consentito, per il momento, solo “le cerimonie funebri con l’esclusiva partecipazione di congiunti e, comunque, fino a un massimo di quindici persone". I vescovi chiedono di poterlo fare anche per coloro che sono deceduti durante la serrata
Funerali senza bara. È questa la proposta della Cei per ricordare tutti coloro che sono morti durante la Fase 1 della pandemia di coronavirus senza la celebrazione delle esequie. Dal 4 maggio, quando partirà la Fase 2, quella della convivenza col virus, il Governo italiano ha consentito, per il momento, solo “le cerimonie funebri con l’esclusiva partecipazione di congiunti e, comunque, fino a un massimo di quindici persone, con funzione da svolgersi preferibilmente all’aperto, indossando protezioni delle vie respiratorie e rispettando rigorosamente la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”. Da qui, mentre ancora la Cei e il governo trattano per decidere quando e come far tornare i fedeli a messa, l’iniziativa della Chiesa italiana di celebrare i funerali delle persone morte nei due mesi di lockdown.
“È evidente – si legge nella circolare del ministero dell’Interno inviata al segretario generale della Cei, monsignor Stefano Russo – che la disposizione in esame è connessa all’attuazione delle misure di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Per tale ragione, la celebrazione delle cerimonie funebri deve essere circoscritta esclusivamente in un edificio di culto o in un luogo all’aperto. Si avrà cura, quindi, che i partecipanti si allontanino quanto prima dal luogo della celebrazione, evitando la formazione di assembramenti ovvero di cortei di accompagnamento al trasporto del feretro”.
Il Viminale precisa, inoltre, che “la forma liturgica della celebrazione rientra nella competenza dell’autorità ecclesiastica, secondo un prudente apprezzamento legato alle diverse situazioni nei vari territori, le tradizioni e le consuetudini locali, assicurando che la cerimonia si svolga in un tempo contenuto”. La circolare si sofferma anche sui riti conclusivi del funerale stabilendo che essi “sono rimessi, allo stesso modo, alla competente autorità ecclesiastica. Nel caso in cui venga celebrata la messa, deve essere evitato il contatto fisico come, per esempio, lo scambio del segno di pace, in continuità con le disposizioni ecclesiastiche già emanate. La celebrazione esequiale in ogni caso è consentita con il rispetto di tutte le norme precauzionali previste in tema di contenimento dell’emergenza epidemiologica in corso, in particolare è prescritto che i partecipanti indossino idonei dispositivi di protezione delle vie respiratorie e mantengano le distanze interpersonali previste, assicurandosi, in caso di celebrazione al chiuso, che il locale abbia una capienza adeguata al richiesto distanziamento e sia previamente sanificato”.
Il numero 2 della Cei, in una nota complementare al testo del ministero dell’Interno, ha spiegato che “nel confronto con le istituzioni governative e il Comitato tecnico-scientifico, la segreteria generale sta affrontando le condizioni con le quali, gradualmente, riprendere le celebrazioni con il popolo e le attività pastorali”. Per quanto riguarda i funerali, monsignor Russo ha inviato ai vescovi alcune indicazioni “cui ottemperare con cura, nel rispetto della normativa sanitaria e delle misure di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Sars-Cov-2”. Innanzitutto, “prima dell’accesso in chiesa dei partecipanti alle esequie funebri sia garantita da un addetto alla sicurezza la misurazione della temperatura corporea, attraverso un termometro digitale o un termo-scanner. Questa disposizione è richiesta anche per le celebrazioni all’aperto. Venga bloccato l’accesso a chi risulti avere una temperatura corporea superiore ai 37,5 gradi”.
“Vista la possibilità di celebrare le esequie anche con la santa messa – prosegue Russo -, nel momento della distribuzione della comunione eucaristica si evitino spostamenti. Sia il celebrante a recarsi ai posti, dove i fedeli, al massimo quindici, sono disposti nel rispetto della distanza sanitaria. Il sacerdote indossi la mascherina, avendo cura di coprirsi adeguatamente naso e bocca, e mantenga a sua volta un’adeguata distanza di sicurezza. La distribuzione dell’Eucarestia avvenga dopo che il celebrante abbia curato l’igiene delle proprie mani; lo stesso abbia cura di offrire l’ostia porgendola sulle mani dei fedeli, senza venire a contatto fisico con esse. Per quanto concerne la sanificazione, la chiesa sia igienizzata regolarmente, mediante pulizia delle superfici e degli arredi con idonei detergenti ad azione antisettica. Al termine di ogni celebrazione si dovrà favorire il ricambio dell’aria. Ove siano presenti spazi idonei, contigui alla chiesa, si prenda in considerazione la possibilità di celebrare le esequie all’aperto, con il rispetto delle distanze di sicurezza e delle altre indicazioni sopra disposte. Si consideri anche l’ipotesi di celebrare le esequie all’aperto nelle aree cimiteriali ove vi sia la possibilità di mantenere un adeguato distanziamento fisico”.
Monsignor Russo prevede, inoltre, che “l’autorità ecclesiastica competente informi tutti i fedeli e chiunque entri in chiesa sulle disposizioni di sicurezza sopraindicate, sia attraverso i suoi canali di comunicazione, sia affiggendo all’ingresso della chiesa stessa appositi cartelli informativi. Sia indicato anche l’obbligo di rimanere a casa in presenza di temperatura corporea oltre i 37,5 gradi o di altri sintomi influenzali. Si raccomandi di non accedere comunque alla chiesa e di non partecipare alle celebrazioni esequiali se sono presenti sintomi di influenza o vi è stato contatto con persone positive a Sars-Cov-2 nei giorni precedenti”.
Anche Papa Francesco, durante la sua messa mattutina nella cappella della sua residenza, Casa Santa Marta, ha voluto pregare “per i defunti, coloro che sono morti per la pandemia e anche in modo speciale per i defunti, diciamo così, anonimi. Abbiamo visto le fotografie delle fosse comuni. Tanti”. “Ho visto – racconta a ilfattoquotidiano.it monsignor Giuseppe Antonio Scotti, segretario della Conferenza episcopale lombarda – la sofferenza dei vescovi di Lodi, Brescia e Bergamo che sono state le prime diocesi nella nostra regione a essere colpite da questo dramma imprevisto. E so bene, per esperienza personale, quanto la telefonata di Papa Francesco a questi vescovi aiuti ad affrontare situazioni difficili e ad affrontarle a viso aperto. Così come abbiamo sofferto per il vescovo di Cremona che è stato ricoverato in ospedale per il coronavirus”.
Per monsignor Scotti “la cosa più pesante di questo tempo è stato assistere al dramma di tante famiglie che hanno salutato un parente che è entrato in ospedale e non lo hanno più visto. Per questo motivo i vescovi della Lombardia stanno pensando a una celebrazione comune della parola di Dio, senza messa, ma interreligiosa per pregare per tutti gli uomini e le donne, cattolici, ebrei, musulmani, protestanti e di ogni altro credo che sono morti abbandonati. Tutti abbiamo in mente le immagini choc dei camion dell’Esercito che hanno portato le tantissime bare fuori da Bergamo. L’idea è quella di fare una celebrazione nella quale l’Italia intera si renda conto dello strazio delle famiglie che non hanno potuto salutare i loro cari e dare un senso del vivere come comunità civile. Anche per ricordare i tanti preti, a Bergamo come a Milano, che sono morti in questi mesi. Bisogna inoltre sottolineare la tanta solidarietà che è emersa in questa drammatica vicenda. Una solidarietà impensabile. Ho visto alcune famiglie che hanno comprato due respiratori per l’ospedale di Bergamo. Ma anche l’eroicità di tanti medici, infermieri e volontari. Questa grandissima sofferenza, infatti, non ha ucciso gli animi, ma in gran parte ha fatto nascere grande bene e unità”.
Soddisfazione per la possibilità di celebrare i funerali anche dall’arcivescovo Giovanni Ricchiuti, presidente nazionale di Pax Christi e a capo della diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti. “Come vescovo – afferma il presule a ilfattoquotidiano.it – non posso che essere contento che sia stata data la possibilità di celebrare l’Eucarestia in suffragio soprattutto di tutti i defunti di questi ultimi due mesi, ma in modo particolare di tutti coloro che sono morti a causa del coronavirus. Ovviamente tenendo presente tutte le modalità e le precauzioni stabilite. È bello ritornare, anche se nel numero ristretto di quindici persone, a ricordare tanti nonni, papà, mamme, fratelli e sorelle che ci hanno lasciato in questi mesi senza neanche la possibilità di un saluto finale. La fede cristiana, infatti, porta un balsamo su tanto dolore, conforta, incoraggia perché crediamo che questi nostri cari siano diversamente viventi in Dio”.