Avevano concesso finanziamenti a grandi gruppi imprenditoriali per l’acquisto di azioni della banca, inserendone il valore nel bilancio e nel patrimonio di vigilanza anche se quei soldi, in realtà, erano già dell’istituto di credito. Una “operazione baciata” nascosta a Bankitalia e che inciso negativamente sui fondi per quasi 50 milioni di euro. Con questa accusa la magistratura barese ha disposto il sequestro di 16 milioni agli ex vertici della Banca Popolari di Bari.
A finire nel mirino della procura barese sono stati Gianluca Jacobini, ex codirettore dell’istituto di credito, Giuseppe Marella e Nicola Loperfido, rispettivamente responsabili dell’Internal Audit e della Direzione Business. I tre sono accusati di ostacolo alla vigilanza e Jacobini anche di false comunicazioni sociali. Popolare di Bari è indagata per la responsabilità amministrativa dell’ente. Jacobini avrebbe “in concorso con altri soggetti in corso di identificazione” esposto “fatti materiali non rispondenti al vero” sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società, “con l’intenzione di ingannare i soci e il pubblico, al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé e per la banca“, è l’accusa della procura, condivisa dal gip che aveva rigettato una prima richiesta di sequestro ma ora ha condiviso l’ipotesi evidenziando che “tanto le omissioni informative quanto l’ostacolo alla vigilanza, sempre a beneficio della Banca popolare di Bari, trovano tutte radice e fondamento in una diffusa e non occasionale attività di cosiddetta ‘assistenza finanziaria’ illegittima”.
L’istituto di credito è stato commissariato nel dicembre 2019 da Bankitalia, poche settimane prima della decisione del giudice per le indagini preliminari del tribunale barese che aveva disposto misure cautelari per Jacobini, suo padre Marco, e altri ex dirigenti di BpB nell’ambito dell’inchiesta sul crac della banca barese. Tra i 21 capi d’imputazione, contestati a vario titolo, c’erano il falso in bilancio e falso in prospetto.
Stando alle indagini della Guardia di Finanza, coordinate dal procuratore aggiunto Roberto Rossi e dai sostituti Savina Toscani e Federico Perrone Capano, gli indagati nel filone che ha portato al sequestro avrebbero concesso finanziamenti ad alcuni clienti della banca, prevalentemente grossi gruppi imprenditoriali, “direttamente o indirettamente utilizzati per l’acquisto di azioni proprie, complessivamente incidenti sui fondi propri della banca, in negativo, per 48,9 milioni di euro”.
Nel bilancio e nel patrimonio di vigilanza, che garantisce la solidità della banca, non avrebbero però – secondo l’accusa – dovuto inserire il valore di queste azioni perché, semplificando, non si tratta di soldi nuovi ma di fondi della banca stessa. Invece lo avrebbero fatto, nascondendolo a Bankitalia e cioè comunicando, per il quarto trimestre del 2015, un ammontare dei fondi della Popolare di Bari “non corrispondente al vero”, “sovrastimato”. Sono quindi le cosiddette “operazioni baciate” il cuore della nuova inchiesta.
Nel dettaglio sono stati sequestrati circa 5 milioni di euro a Jacobini, altrettanti a Loperfido e 6 milioni a Marella. “Le operazioni baciate – spiega il gip nel decreto di sequestro – sono finanziamenti, spesso offerti a tassi di interesse più vantaggiosi, erogati da una banca a un cliente a patto che questi acquisti azioni della banca stessa”. La concessione di un finanziamento da parte di una banca “in correlazione con l’acquisto di sue azioni sovrastimerebbe il capitale, dando ai terzi una visione di solidità che non corrisponde a quella reale”, aggiunge il gip.
A questi clienti, inoltre, sarebbero stati fatti sottoscrivere mandati irrevocabili a vendere le azioni e i titoli stessi, “quando l’istituto bancario lo avesse ritenuto ‘opportuno’, così determinando, di fatto, la destinazione delle azioni (e del relativo controvalore) a garanzia del finanziamento concesso”. Il gip ritiene “dimostrato come lo strumento dei mandati irrevocabili a vendere fosse frutto di una deliberata scelta aziendale dei dirigenti qui indagati in qualità di detentori del potere aziendale” e che, quindi, “l’occultamento dei dati alla Bankitalia, seppur successivo alla decisione aziendale di rafforzare illecitamente il patrimonio aziendale, sia collegato ad essi”.
Questo, secondo il giudice, lo si può ricavare dalla “rilevanza (per la tipologia dei clienti, tra i più importanti della banca) e il numero dei mandati a vendere (utilizzati per mantenere artatamente intatto il patrimonio sociale), indicativo della non occasionalità della scelta”, dall’utilizzo di “contratti identici prestampati, indicativo di una scelta aziendale di rendere uniformi gli strumenti di garanzia”, dalla “consapevolezza dell’importanza dei mandati a vendere nell’analisi da parte dell’Internal Audit di BpB”, a riprova – conclude il gip – “del fatto che il fenomeno era ben noto ai dirigenti” e dai “riscontri documentali nei quali esplicitamente si fa riferimento della connessione tra la concessione di crediti da parte della banca e del mandato irrevocabile a vendere”.
Giustizia & Impunità
Popolare di Bari, sequestrati 16 milioni di euro agli ex vertici della banca: Gianluca Jacobini e altri due indagati per ostacolo alla vigilanza
Stando alle indagini della Finanza, gli indagati avrebbero concesso finanziamenti ad alcuni clienti "direttamente o indirettamente utilizzati per l’acquisto di azioni proprie" incidendo negativamente per 50 milioni sui bilanci. E nascondendo l'operazione a Bankitalia. Sotto accusa l'ex codirettore Gianluca Jacobini, Giuseppe Marella e Nicola Loperfido, rispettivamente responsabili dell’Internal Audit e della Direzione Business
Avevano concesso finanziamenti a grandi gruppi imprenditoriali per l’acquisto di azioni della banca, inserendone il valore nel bilancio e nel patrimonio di vigilanza anche se quei soldi, in realtà, erano già dell’istituto di credito. Una “operazione baciata” nascosta a Bankitalia e che inciso negativamente sui fondi per quasi 50 milioni di euro. Con questa accusa la magistratura barese ha disposto il sequestro di 16 milioni agli ex vertici della Banca Popolari di Bari.
A finire nel mirino della procura barese sono stati Gianluca Jacobini, ex codirettore dell’istituto di credito, Giuseppe Marella e Nicola Loperfido, rispettivamente responsabili dell’Internal Audit e della Direzione Business. I tre sono accusati di ostacolo alla vigilanza e Jacobini anche di false comunicazioni sociali. Popolare di Bari è indagata per la responsabilità amministrativa dell’ente. Jacobini avrebbe “in concorso con altri soggetti in corso di identificazione” esposto “fatti materiali non rispondenti al vero” sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società, “con l’intenzione di ingannare i soci e il pubblico, al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé e per la banca“, è l’accusa della procura, condivisa dal gip che aveva rigettato una prima richiesta di sequestro ma ora ha condiviso l’ipotesi evidenziando che “tanto le omissioni informative quanto l’ostacolo alla vigilanza, sempre a beneficio della Banca popolare di Bari, trovano tutte radice e fondamento in una diffusa e non occasionale attività di cosiddetta ‘assistenza finanziaria’ illegittima”.
L’istituto di credito è stato commissariato nel dicembre 2019 da Bankitalia, poche settimane prima della decisione del giudice per le indagini preliminari del tribunale barese che aveva disposto misure cautelari per Jacobini, suo padre Marco, e altri ex dirigenti di BpB nell’ambito dell’inchiesta sul crac della banca barese. Tra i 21 capi d’imputazione, contestati a vario titolo, c’erano il falso in bilancio e falso in prospetto.
Stando alle indagini della Guardia di Finanza, coordinate dal procuratore aggiunto Roberto Rossi e dai sostituti Savina Toscani e Federico Perrone Capano, gli indagati nel filone che ha portato al sequestro avrebbero concesso finanziamenti ad alcuni clienti della banca, prevalentemente grossi gruppi imprenditoriali, “direttamente o indirettamente utilizzati per l’acquisto di azioni proprie, complessivamente incidenti sui fondi propri della banca, in negativo, per 48,9 milioni di euro”.
Nel bilancio e nel patrimonio di vigilanza, che garantisce la solidità della banca, non avrebbero però – secondo l’accusa – dovuto inserire il valore di queste azioni perché, semplificando, non si tratta di soldi nuovi ma di fondi della banca stessa. Invece lo avrebbero fatto, nascondendolo a Bankitalia e cioè comunicando, per il quarto trimestre del 2015, un ammontare dei fondi della Popolare di Bari “non corrispondente al vero”, “sovrastimato”. Sono quindi le cosiddette “operazioni baciate” il cuore della nuova inchiesta.
Nel dettaglio sono stati sequestrati circa 5 milioni di euro a Jacobini, altrettanti a Loperfido e 6 milioni a Marella. “Le operazioni baciate – spiega il gip nel decreto di sequestro – sono finanziamenti, spesso offerti a tassi di interesse più vantaggiosi, erogati da una banca a un cliente a patto che questi acquisti azioni della banca stessa”. La concessione di un finanziamento da parte di una banca “in correlazione con l’acquisto di sue azioni sovrastimerebbe il capitale, dando ai terzi una visione di solidità che non corrisponde a quella reale”, aggiunge il gip.
A questi clienti, inoltre, sarebbero stati fatti sottoscrivere mandati irrevocabili a vendere le azioni e i titoli stessi, “quando l’istituto bancario lo avesse ritenuto ‘opportuno’, così determinando, di fatto, la destinazione delle azioni (e del relativo controvalore) a garanzia del finanziamento concesso”. Il gip ritiene “dimostrato come lo strumento dei mandati irrevocabili a vendere fosse frutto di una deliberata scelta aziendale dei dirigenti qui indagati in qualità di detentori del potere aziendale” e che, quindi, “l’occultamento dei dati alla Bankitalia, seppur successivo alla decisione aziendale di rafforzare illecitamente il patrimonio aziendale, sia collegato ad essi”.
Questo, secondo il giudice, lo si può ricavare dalla “rilevanza (per la tipologia dei clienti, tra i più importanti della banca) e il numero dei mandati a vendere (utilizzati per mantenere artatamente intatto il patrimonio sociale), indicativo della non occasionalità della scelta”, dall’utilizzo di “contratti identici prestampati, indicativo di una scelta aziendale di rendere uniformi gli strumenti di garanzia”, dalla “consapevolezza dell’importanza dei mandati a vendere nell’analisi da parte dell’Internal Audit di BpB”, a riprova – conclude il gip – “del fatto che il fenomeno era ben noto ai dirigenti” e dai “riscontri documentali nei quali esplicitamente si fa riferimento della connessione tra la concessione di crediti da parte della banca e del mandato irrevocabile a vendere”.
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‘In Ucraina è guerra per procura’: a dirlo è il segretario di Stato Usa Marco Rubio. E il Cremlino plaude
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Il vergognoso oltraggio del Museo della Shoah di Roma è l'ennesimo episodio di un sentimento antisemita che purtroppo sta riaffiorando. È gravissima l'offesa alla comunità ebraica ed è gravissima l'offesa alla centralità della persona umana e all'amicizia tra i popoli. Compito di ognuno deve essere quello di prendere decisamente le distanze da questi vergognosi atti, purtroppo sempre più frequenti in ambienti della sinistra radicale infiltrata da estremisti islamici , che offendono la memoria storica e le vittime della Shoah. Esprimo la mia più sentita solidarietà all'intera Comunità ebraica con l'auspicio che tali autentici delinquenti razzisti antisemiti siano immediatamente assicurati alla giustizia ". Lo ha dichiarato Edmondo Cirielli, Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Meloni ha perso un'occasione rispetto a due mesi fa quando si diceva che sarà il ponte tra l'America di Trump e l'Europa e invece Trump parla con Macron, con Starmer e lo farà con Merz. Meloni è rimasta un po' spiazzata. Le consiglio di non essere timida in Europa perchè se pensa di sistemare i dazi un tete a tete con Trump, quello la disintegra. Meloni deve stare con l'Europa e Schlein quando le dice di non stare nel mezzo tra America e Europa è perchè nel mezzo c'è l'Oceano e si affoga". Lo dice Matteo Renzi a Diritto e Rovescio su Rete4.