L'emergenza Covid ha avuto il merito di far emergere un esercito invisibile di atleti, tecnici, istruttori, segretari che guadagnano fino a 10mila euro all'anno (esentasse). Grazie a un indennizzo ad hoc, hanno almeno ricevuto il bonus 600 euro. Ora Sport e Salute mette sul tavolo l'idea di una pensione che però sarebbe sostenuta da un prelievo percentuale sul reddito: le società non possono farsi carico degli oneri
Un fondo previdenziale per i lavoratori dello sport, l’esercito di 140mila invisibili che manda avanti l’intero settore senza tutele. È l’idea di “Sport e Salute”, la società governativa, per guardare oltre l’emergenza coronavirus: non solo il bonus di 600 euro, che probabilmente dovrà essere rinnovato anche ad aprile, adesso si comincia a parlare pure di pensione.
CHI SONO I COLLABORATORI (SENZA TUTELE) DELLO SPORT – Lontano dai riflettori c’è una moltitudine di quasi 150mila associazioni e piccole società che rappresentano la base del movimento. Ma, per parafrasare l’uscita infelice di un ex ministro dell’Economia, “con lo sport non si mangia”. A parte una fetta minoritaria di dipendenti (che non supera il 10%), e a un esercito di volontari che lo fanno per passione, la maggior parte sono i cosiddetti “collaboratori sportivi”, in cui rientrano anche figure molto diverse fra loro: atleti, tecnici, istruttori, segretari. Il loro rapporto vale meno di un co.co.co., non è nemmeno un contratto vero ma una semplice lettera di incarico, non ha tutele né contributi, semplicemente permette di percepire fino a 10mila euro l’anno esentasse. La soglia, in precedenza di 7.500, è stata alzata dall’ex ministro Lotti pensando di fare cosa gradita, in realtà gli effetti sono controversi. Si tratta di una categoria che da anni chiede un intervento: l’emergenza coronavirus se non altro ha avuto il merito di porre il loro problema sul tavolo del governo.
IL BONUS E IL CENSIMENTO GRAZIE ALL’EMERGENZA CORONAVIRUS – Non avendo gestione separata Inps, rischiavano di essere esclusi dal sostegno per gli autonomi. Per questo l’esecutivo ha dovuto creare un indennizzo ad hoc, forse il primo vero riconoscimento per la categoria. Il compito è stato affidato a Sport e salute e la raccolta delle domande (proprio in questi giorni sono partiti i primi bonifici) è servita a fare un censimento della platea. Sulla piattaforma informatica si sono registrate 136.359 persone (meno del temuto mezzo milione della vigilia, significa che anche il rischio “furbetti” è stato contenuto): una stima credibile del numero di lavoratori in questa condizione, cioè una busta paga di neanche mille euro al mese che spesso rappresenta l’unica fonte di reddito, e senza garanzie future.
LA PROPOSTA: UN PRELIEVO PER IL FONDO PREVIDENZIALE – Così Sport e salute coglie l’occasione per rilanciare il dibattito sulla riorganizzazione del settore. In un documento sulle misure per lo sport presentato alle Commissioni Finanze e Attività produttive, la società diretta da Vito Cozzoli propone di istituire un Fondo previdenziale per lo sport, in modo da dare finalmente qualche tutela a questi lavoratori. L’idea in realtà non è nuova, è già parte della riforma dello sport, approvata dal governo gialloverde la scorsa estate: dovrebbe essere realizzata con i decreti attuativi, di cui però si sono perse le tracce. In attesa di novità, Sport e salute comincia a entrare nei dettagli: l’idea è aumentare il tetto esentasse da 10 a 15mila euro e applicare un prelievo percentuale per scaglioni di reddito, da accantonare al fondo. Il 4% fino a 5mila, l’8% da 5 a 10mila, il 12% fino a 15mila. Con queste risorse finalmente si potrebbero garantire dei servizi minimi di welfare e previdenza.
LA RIFORMA E IL PROBLEMA DELLE RISORSE – Certo, le incognite non mancano: in questo modo la costituzione del fondo ricadrebbe tutta sugli stessi lavoratori e sarebbe solo parzialmente compensata dall’aumento della soglia esentasse, di cui non beneficeranno tutti. Per chi continuerà a guadagnare 10mila euro, significherà ritrovarne 800 in meno in busta paga. Ma d’altra parte il problema è sempre quello: le società e le piccole associazioni non hanno la possibilità di farsi carico degli oneri (il sistema non reggerebbe), perciò sindacati e lavoratori chiedono un intervento dello Stato, ma servono soldi. Anche per questo il timore è che la riorganizzazione della contrattualistica si riveli troppo complessa e resti lettera morta. Intanto c’è una prima proposta: quando finirà l’emergenza coronavirus, i lavoratori dello sport dovranno avere anche una pensione.