Il capo dei capi della cosca cutrese/emiliana di ‘ndrangheta, Nicolino Grande Aracri, ha presentato domanda di misure alternative al carcere per scongiurare il rischio di contagio da coronavirus. Pur essendo in regime di 41 bis al carcere di Opera a Milano, isolato da contatti con altri detenuti, Nicolino ‘Mano di Gomma’, che ha da poco compiuto 61 anni, ha mosso i suoi legali per chiedere di uscire, adducendo anche il motivo delle precarie condizioni di salute. Contemporaneamente arriva la notizia che un altro uomo importante legato ai Grande Aracri, Romolo Villirillo, condannato in via definitiva nel processo Aemilia come uno dei sei capi della cosca autonoma che si è radicata in Emilia Romagna, ha ottenuto un pronunciamento di scarcerazione dai giudici di Catanzaro, in relazione a uno dei diversi processi in cui è imputato in Calabria.

Villirillo ha solo 42 anni ma la decisione del Gup parla di ipertensione arteriosa, insufficienza respiratoria e prende atto di una relazione dell’ASL di Roma che ipotizza il pericolo di morte in relazione al Covid 19. Villirillo è al 41 bis come Grande Aracri, nel carcere di Rebibbia, e al boss Nicolino è legato da uno stretto rapporto di amore/odio svelato dall’indagine Aemilia. Era uno dei tanti bracci destri di cui si fidava Grande Aracri, operativo al nord assieme all’altro capo Francesco Lamanna nell’area tra Piacenza, Monticelli d’Ongina e Cremona. Poi cadde in disgrazia e venne sostituito quando Grande Aracri scoprì che Villirillo faceva la cresta sui ricavi della cosca. É il collaboratore di giustizia Giuseppe Giglio a spiegarlo efficacemente ai pm antimafia: “Cosa è successo? E’ successo che il Villirillo, diciamo, se da lei prendeva cento, nella famiglia ne portava solo cinquanta. E dopo alcuni anni, quando Grande Aracri è uscito dal carcere, sono cominciati i problemi per Villirillo”. Per problemi si intende che lo volevano uccidere, ma per sua fortuna è stato arrestato nella grande retata di Aemilia del gennaio 2015. Ora però le motivazioni dei giudici di Catanzaro, riferite a un processo costato a Villirillo 20 mesi di carcerazione preventiva, possono essere per lui un titolo da presentare ai Magistrati di Sorveglianza di Roma per sperare nella libertà.

Sia Grande Aracri che Villirillo hanno sulle spalle già numerosi procedimenti per il 416 bis. Entrambi sono stati definitivamente condannati nel giugno 2019 al processo Kyterion in Calabria: Nicolino all’ergastolo e Romolo Villirillo a 6 anni e 4 mesi. Entrambi sono stati definitivamente condannati nel rito abbreviato di Aemilia: 6 anni e 8 mesi Grande Aracri, 12 anni e 2 mesi Villirillo. Entrambi sono indagati nel processo Grimilde, altra grande inchiesta della Direzione antimafia di Bologna che andrà a processo a metà maggio nel carcere della Dozza. Sotto accusa sono la ‘ndrangheta di origine cutrese insediata a Brescello, comune commissariato nel 2016, e le sue relazioni con il tessuto imprenditoriale del nord, nel quale Villirillo sapeva muoversi con abilità nel campo della falsa fatturazione e del reimpiego di denari della cosca per la compravendita di società.

Ma Villirillo si dava molto da fare anche in Calabria, dove nel 2017 è finito a processo assieme ad altri con l’accusa di scambio elettorale politico mafioso, per avere preso soldi a nome delle cosche Grande Aracri di Cutro e Giampà di Lamezia Terme, in cambio di sostegno alla candidata alle regionali del 2005, aderente al Nuovo PSI, Angela de Feo. Per Villirillo l’accusa aveva chiesto 4 anni di carcere ma il reato è finito in prescrizione. Un’altra indagine antimafia sempre a Catanzaro ha portato nel giugno 2018 all’arresto di diverse persone che secondo la DDA controllavano attività commerciali e bancarelle a Crotone per conto delle cosche Barilari-Foschini. Tra gli altri c’era anche Romolo Villirillo condannato poi a due anni nel primo grado dell’abbreviato.

Il curricolum di condanne di Nicolino Grande Aracri è ancora più corposo e attualmente il capo supremo è alla sbarra in Corte d’Assise a Reggio Emilia per gli omicidi del 1992 che segnarono una prima resa dei conti tra le cosche calabresi trapiantate in Emilia Romagna. Fino all’ultima udienza di febbraio, prima della chiusura legata all’emergenza sanitaria, Grande Aracri ha seguito in video collegamento dal carcere ogni momento del dibattimento, intervenendo spesso e senza mostrare alcun segno di indisposizione fisica. Il processo dovrebbe riaprire il 15 maggio per consentire al pm Beatrice Ronchi di concludere la requisitoria prima di passare la parola agli avvocati difensori. Un altro imputato dello stesso processo, Angelo Greco, che come Nicolino rischia fino all’ergastolo, ha già presentato una domanda analoga di misure alternative al carcere, sempre per rischio Covid 19. I giudici del tribunale reggiano l’hanno rigettata il 24 aprile. Diversi altri condannati di Aemilia e imputati in inchieste parallele hanno fatto altrettanto. Da Carmine Sarcone a Giuseppe Iaquinta, da Giuseppe Caruso a Giuseppe Strangio, da Claudio Bologna a Cosimo Amato per citare i più importanti. E ogni giorno la lista si allunga, come i contagi del coronavirus nelle prime settimane. Tanto che il governo, su proposta del ministro Bonafede, ha approvato il 29 aprile un decreto legge che rende obbligatorio il parere delle Procure Antimafia e, nel caso di detenuti al 41 bis, anche quello del Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, nelle decisioni relative alle misure alternative al carcere.

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