È da un po’ che provo a tornare su questo blog ma, ogni volta che ho tentato, è successo qualcosa che ha modificato l’incipit del post, rendendolo superato, inutilmente polemico e perfino divinatorio… Prima c’è stata l’indignazione per la chiusura delle librerie, poi le stesse sono state nominate “luoghi dell’anima” e in molti ne hanno chiesto la riapertura.
Infine quando abbiamo riaperto c’è stato lo scisma tra librai favorevoli e contrari… In tutto questo, con calma olimpica, ho cercato di impiegare al meglio il tempo concesso dalla clausura domestica dedicandomi a me stesso, alla famiglia e alla lettura.
Prima dei consueti consigli però, volevo fare una considerazione sul rapporto coi libri al tempo del Covid. All’inizio della pandemia ho pensato, come molti altri, che avrei avuto moltissimo tempo per leggere ma, al dunque, mi sono confrontato con gli effetti collaterali legati non solo alla perdita di ogni riferimento quotidiano ma anche alla iperconnessione domestica.
Tra aggiornamenti, conferenze stampa e bollettini, ho passato i primi giorni a cercare, senza molta fortuna, di ripararmi nella lettura. Ero abituato a leggere in altri contesti, a fare tesoro del poco tempo a disposizione e, in questa nevrotica libertà, non mi sono trovato immediatamente a mio agio. Leggevo e dimenticavo, cercavo di immedesimarmi e finivo per tornare sempre sullo smartphone in cerca di aggiornamenti.
Poi un po’ per volta, ho ritrovato il mio centro e, con esso, un buon rapporto tempo/lettura. Se quindi qualcuno avesse bisogno di allenarsi per riprendere il proprio ritmo e fosse in cerca di una potente e al tempo stesso agile evasione suggerirei due raccolte di racconti.
La prima è Viscere, di Amelia Gray, edito da Pidgin Edizioni. In questo testo l’autrice, già sceneggiatrice di serie televisive di fama mondiale come Maniac o Mr Robot, sviscera frammenti di vita quotidiana gettandoceli in pasto come fossimo uccelli da carcassa.
Senza alcuna mediazione morale, la Gray fa letteralmente a pezzi la realtà, privandoci sia della motivazione che della morale. Il risultato è un lungo viaggio tra le costole del presente dove, a cercare bene, ognuno di noi può scovare ancora un boccone per sfamare il proprio bisogno di bellezza, vitalità o diritto, in una caduta verticale verso un baratro simile ai nostri marciapiedi.
Ne Il concorso, ad esempio, una dolcissima pillola avvelenata lunga meno di una pagina, gli dei offrono agli umani la possibilità di riportare in vita un proprio caro, a condizione di mostrare un autentico rammarico per la perdita. Tra vivai spostati ai cimiteri, ninnoli e dolci nelle camerette dei bambini prematuramente morti e lacrime per grandi amori spezzati, l’unica a veder tornare il proprio caro alla porta è una nonnina spiaciuta per il trapasso del gatto.
Dalla gravidanza ai voli aerei, dal cannibalismo agli uccelli, vedremo sempre qualcosa di sorprendente brillare dalle lacerazioni di Amelia Gray. Che saprà farvi anche ridere, sebbene a denti stretti.
La seconda raccolta è invece I topi del cimitero del misterioso Carlo H. de Medici. Secondo libro di questo autore riportato alla luce dai cacciatori di tesori di Cliquot che, dopo il tetro Gomoria uscito un anno fa, hanno restituito ai lettori un altro tassello della strepitosa produzione letteraria di questo Edgar Allan Poe nostrano. Di De Medici pochissimo si sa, e quel poco è fosco, quasi fuori posto rispetto al suo essere vissuto tra Ottocento e Novecento, quando la magia aveva già ceduto il posto al razionalismo.
In questi racconti trovano spazio ardite negoziazioni con la morte, come nel confronto tra un commerciante e l’Oscura Signora, l’eclissi di ogni sacro bene, coi topi del cimitero che divorano la luna, metafora dell’ostia della messa, l’assetata mancanza di ogni appagamento, come al protagonista di Per la mia pace, in cui un uomo folle d’amore per due donne, decide di provarle entrambe soltanto per scoprire che la sua piena soddisfazione non sarà raggiunta che in un atto assolutamente disumano.
Malgrado la vena crepuscolare, tutti i racconti di De Medici sono pervasi di una certa ironia grottesca, che li rende godibili e mai completamente tristi, impreziositi dalle macabre illustrazioni dell’autore.
Per un pubblico più giovane, diciamo dalle medie, segnalo infine Fuori di galera, di Sofia Gallo e Pino Pace, edito da Marcos y Marcos. Un romanzo di formazione delicato, originale, accattivante, sorretto da una morale non banale di quelli che, letti a dodici anni, fanno sentire il giovane lettore più maturo. Ilde, la protagonista, è una quattordicenne alle prese coi problemi tipici della sua età. Piace a quelli che non le interessano e viceversa, con qualche interferenza provocata dai sabotaggi di una migliore amica che va baciando quelli che le piacciono di più.
Il suo carattere forte è stato forgiato da una vita vissuta senza padre, in galera per rapina e omicidio dai tempi della materna. Un argomento che mai gli altri hanno smesso di rinfacciarle con disprezzo. Per il suo compleanno sogna di ricevere un cane, e invece il destino le riserva l’uscita dal carcere del babbo, con quattro anni di anticipo per buona condotta.
Praticamente priva di ricordi su di lui, ma consapevole di essere stata concepita un po’ come una frittata non voluta in una folle relazione giovanile, Ilde vive il ricongiungimento familiare molto diversamente da come lo aveva immaginato. Deciso a conoscerla meglio e a darle la sua versione, suo padre la porta a vivere una folle vacanza di due giorni, che inizia con un rapimento nel garage della mamma.
Tra ripicche, confessioni e pericoli, quasi niente andrà per il verso giusto ma, alla fine, Ilde riuscirà almeno a risolvere quello che è forse il suo più grande problema. State a casa e buona lettura!