Per il 75% uomini, per il 60% impiegati nell’industria, per il 63% residenti al Nord e in prevalenza lavoratori dipendenti e over 40. È l’identikit di chi da lunedì 4 maggio – giorno di inizio della “fase 2” del lockdown – tornerà a lavorare in base al Dpcm del 26 aprile. Si tratta di 4,4 milioni di persone, mentre 2,7 milioni resteranno ancora fermi. Su 100 rimasti a casa per effetto dei provvedimenti di sospensione delle attività, dunque, il 62,2% potrà tornare al lavoro. Ma la ripresa presenta quelli che la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, in uno studio basato sui microdati delle Forze Lavoro Istat, definisce “paradossi“, parlando di “un quadro non coerente rispetto alla diffusione della pandemia” per quanto riguarda la distribuzione geografica delle riaperture.

Infatti la ripartenza interesserà maggiormente il Nord Italia, più esposto al contagio: la ripresa delle attività produttive “si concentrerà proprio nelle aree più interessate dal Coronavirus“, perché a fronte di 2,8 milioni di occupati nel Settentrione, “saranno 812.000 al Centro e 822.000 nel Mezzogiorno” a ricominciare a svolgere le proprie mansioni. Tra le regioni interessate, si legge nello studio dei professionisti, “Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte, Veneto e Marche, dove il tasso di rientro oscilla intorno al 69%;”. Molto più basse le percentuali nelle altre zone del Paese, ossia “in Valle d’Aosta (49,3%), Lazio (46,7%), Sicilia (43,4%), Calabria (42,5%) e Sardegna (39,2%)“: qui, la ‘fase 2’ coinvolgerà meno di un lavoratore su due tra quelli sospesi per effetto dei decreti del governo.

L’altro paradosso segnalato dai consulenti è che su 100 occupati in settori sospesi, rientreranno al lavoro dal 4 maggio il 48,8% degli under 30, il 59% dei 30-39enni, il 67,1% dei 40-49enni, ben il 68,7% dei 50-59enni e il 60,1% degli over 60 fermi finora. Dunque “la popolazione più anziana riprenderà a lavorare prima di quella giovanile” nonostante sia la più vulnerabile al virus. Va detto che ovviamente la riapertura non comporta necessariamente la presenza in sede e anzi il governo ha chiesto di promuovere il più possibile il lavoro agile. Tuttavia i Consulenti del Lavoro segnalano come “solo nel 36,6% dei casi i lavoratori chiamati a riprendere le proprie attività potranno farlo in smart working; la maggioranza (63,4%), per le caratteristiche del proprio lavoro, non potrà che farlo in sede“.

Riaprono infatti tutte le attività di manifattura, il commercio all’ingrosso e i cantieri privati, settori in cui il lavoro richiede la presenza. La ‘fase 2’, scrivono i consulenti del lavoro, “interesserà principalmente i dipendenti dell’industria, dove l’attività potrà tornare a pieno regime (col 100% dei settori riaperti)”, e su 100 addetti che riprenderanno le redini del proprio impiego il 60,7% opera “nel settore manifatturiero, il 15,1% nelle costruzioni, il 12,7% nel commercio e l’11,4% in altre attività di servizio“.

L’altro effetto collaterale della riapertura dei settori industriali – mentre per esempio negozi e parrucchieri restano chiusi fino al 18 maggio – è che sarà favorita “soprattutto la ripresa dell’occupazione maschile, tradizionalmente più presente in tale comparto”. A ripartire saranno 3,3 milioni di uomini (il 74,8% del totale) e 1,1 milioni donne (25,2%). Per queste ultime “si prospettano tempi di ripresa più lunghi, considerando che meno della metà di quante sono rimaste a casa per effetto dei diversi decreti (44,1%) tornerà al lavoro dal 4 maggio, a fronte di una quota molto più alta per gli uomini (72,2%)”.

Infine, la maggioranza degli occupati che riprenderanno a lavorare è dipendente (3,5 milioni, pari al 79,4% di
chi riprenderà a lavorare) mentre gli autonomi (il restante 20,6%) dovranno ancora aspettare per riprendere a pieno le proprie attività lavorative: solo il 49% di quanti sono stati interessati dai provvedimenti di sospensione potrà riaprire già dal 4 maggio.

Il profilo degli occupati ancora “sospesi” al contrario vede fermo il 21% degli under 30 (contro il 13,1% dei 30-39enni, il 10,3% dei 40-49enni e l’8,4% degli over 50). Stessa cosa vale per le donne: resta ancora a casa il 14,3% delle occupate, contro il 9,4% degli uomini. Anche gli autonomi, “che hanno più diretto e urgente interesse alla ripresa lavorativa, sono ancora per il 17,8% costretti a casa”. Mentre a livello geografico si conferma il ritardo di ripartenza al Mezzogiorno. Su 100 lavoratori in settori “sospesi”, il 29,1% è al Sud, il 22,2% al Centro e il 48,7% al
Nord.

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