Una rubrica saltuaria e spassionata mentre ci tocca allungare l'attesa di un "bye bye cinema". Nell’attesa qualche confetto, qualche cioccolatino, qualche boccone avvelenato, recuperato dalle piattaforme streaming, sgraffignato su qualche tv generalista, acquistato di terza mano da rigattieri del web
Pallottole che schizzano ovunque, carni che si lacerano, incidenti d’auto rocamboleschi e devastanti, esplosioni dilanianti. Tyler Rake (Extraction), una delle prime più attese su Netflix, è un lungo flashback action thriller ambientato in India, con un protagonista apparentemente indistruttibile, che ottiene il risultato che si prefigge fin dai primi istanti: incollare lo spettatore al seguito di Tyler Rake (Chris Hamsworth) per un’ora e cinquanta.
L’australiano Tyler, niente più di un mercenario killer tutto satellitare, muscoli, mitraglietta e trauma infantile, è stato assoldato per recuperare il 14enne Ovi, milordino pulito ed educato dall’alta società di Mumbai, figlio di un signore della droga, rapito dal sadico rivale Asif e detenuto da qualche parte a Dacca. Dicevamo della rivelazione immediata, al quarto secondo di film, con Tyler malandato e moribondo su un ponte letteralmente distrutto. Poi ecco il rewind e si riparte da due giorni prima. Quando il ragazzino viene rapito brutalmente e vengono illustrati con grande rapidità una serie di dettagli dei protagonisti: il padre del bimbo in carcere; la crudele violenza del villain (Priyanshu Painyuli, star di Bollywood), l’ipotesi che a salvare il bimbo sia Saju (Randeep Hooda, altra star di Bollywood) uno dei tirapiedi del padre; il legame tra Tyler e la sua superiore Nik (l’attrice iraniana Golshifteh Farahani).
Quattro o cinque elementi descrittivi concentrati in pochi minuti che servono come substrato evocativo di cliché di genere per far detonare azione e storia. Quest’ultima è un filo sottile e semplice: Tyler agguanta non senza fatica il ragazzino, lo scorta velocissimo tra caseggiati, viuzze cittadine, strade intasate di paesini sovraffollati, foreste sinistre, cunicoli, fogne, schivando ogni minuto mitragliate, scimitarre, pugnali, bombe, fin verso la salvezza rappresentata da un elicottero che li deve recuperare su un ponte. Perché ogni via di fuga terrestre e fluviale di Dacca è stata letteralmente blindata da Asif che a libro paga ha un colonnello dell’esercito e parecchia polizia.
Non immaginatevi momenti morti, pause contemplative, risoluzioni di confronto psicologico/emotivo tra protagonisti. Tutto l’universo dialogico delle affettività è ridotto a qualche riga di scrittura (allo script Joe Russo, con il fratello Anthony semplicemente i factotum del franchise Avengers) per far spazio alle plastiche e rudi sequenze da combattimento e a quelle adrenaliniche di inseguimento. Immerso ogni singolo frame, diurno e notturno, in una palette di colori tra il giallo e l’arancione, per un’atmosfera oppressiva da appiccicume misto sangue e polvere, Tyler Rake è un percorso ad ostacoli tratto da un fumetto imbevuto di sanguinarie mattanze (Ciudad di Ande Parks, Joe Russo, Anthony Russo, Fernando Leon Gonzalez ed Eric Skillman) che spazia da apnee in semisoggettiva del protagonista modello Call of duty (la fuga tra piani, scale e case dopo mezz’ora di film) a lunghe sequenze di fuga in auto, continuamente ritmate da un montaggio parossistico di più punti di macchina, davvero impressionanti e incisive (anche se sempre parecchio dietro al Friedkin di Vivere e morire a Los Angeles, anche nelle “marce indietro” e “nei sensi contrari”).
Hamsworth abita con estrema asciuttezza il suo ruolo da presunto supereroe, troneggiando negli scontri a mani nude, subendo le cadute da terrazzi o le schegge che gli bucano collo e muscoli, in una versione del buono pronto a tutto tra la rabbia sorda di un Rambo e gli sganassoni alla Bud Spencer. Il Thor della Marvel trova definitivamente la quadratura del cerchio per le sue performance cinematografiche più ironicamente militar-erculee che comedy drama, senza mai tralasciare l’impatto erotico in controluce di un divismo hollywoodiano sempre meno classico e sempre più cinecomic. Dirige un altro figo da paura, forse più figo di Hamsworth, Sam Hargrave, stuntman a sua volta per decine di film action, nonché coordinatore dell’intero reparto stuntman nella saga Avengers. Insomma, Tyler Rake è un meccanismo inarrestabile che funziona. Elementare sì, ma tremendamente efficace. Eccellente e raffinato anche il respiro global di cast e set che incrocia, appunto, Hollywood, Bollywood e perfino l’Iran.